Quel che serve all’Italia è un ritrovato spirito del Piave

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Quel che serve all’Italia è un ritrovato spirito del Piave

04 Novembre 2011

Novant’anni dopo, un treno carico di storia è partito da Aquileia per Roma ripercorrendo il tragitto che, tra due immense ed ininterrotte ali di folla che l’accoglieva in ginocchio inondandolo di fiori e chinando al suo passaggio miriadi di Tricolori, depose il Milite Ignoto nel cuore dell’Altare della Patria. Quella di allora era un’Italia infinitamente più povera e più ingiusta, ma aveva retto alla prova terribile di una sterminata carneficina invertendo, con una straordinaria prova di amore ed orgoglio, il disastro che sembrava fatale di Caporetto fino all’apoteosi di Vittorio Veneto. Il povero Soldatino sconosciuto, dopo quello della sua vita, fece un altro straordinario dono alla sua Patria: la ricompattò nella consapevolezza di quanto erano costate a tutto il suo Popolo, senza distinzione alcuna di ceto sociale o provenienza territoriale, la sua Unità e la sua Indipendenza, spegnendo d’un tratto una dura stagione segnata dal contagio della rivoluzione sovietica.

Come nei giorni del suo Centocinquantenario, l’Italia di oggi ha stupito se stessa stringendosi commossa nelle stazioni di transito ai labari e agli stendardi dei vecchietti delle Associazioni combattentistiche e d’Arma, a dimostrare che non è bastato un cinquantennio di oblio a cancellare dalla nostra anima collettiva l’orgoglio della nostra appartenenza, che ci ha fatto riscoprire l’inno di Mameli e che non ha mai smesso di farci fremere alle note esaltanti dell’inno del Piave.

Fatta salva l’immancabile gazzarra sindacale che ha turbato l’arrivo del treno a Roma, è un’Italia che può ancora mettere in campo insospettabili energie morali anche di fronte alle sfide del nostro tempo, quale quella di gran lunga più grande di noi che in questi mesi ha messo all’improvviso a repentaglio non soltanto il nostro benessere, ma anche la nostra indipendenza nazionale, sulla quale ridacchiano rubiconde tedescotte ed improbabili caricature mignon di Napoleone. Quel che serve è un ritrovato spirito del Piave, la capacità di accantonare rovinose divisioni per rimboccarsi le maniche tutti insieme in un sussulto collettivo di orgoglio, che rivendichi le ragioni di una grande Nazione alla quale non manca nulla per stare nel novero dei Paesi più avanzati e prosperi del mondo, intanto stringendosi al proprio Governo democraticamente eletto perché riesca, con il contributo di tutti, ad onorare gli impegni assunti con la Comunità internazionale.

Esattamente il contrario di quel che fa chi semina professionalmente discredito nei confronti di chi, legittimamente, ci rappresenta e poi lo accusa di essere screditato, investendo le proprie fortune sulle disgrazie della propria Patria e celebrandone le difficoltà come propri successi, rifornendo continuamente i nostri interessati detrattori esterni del fango con cui voluttuosamente insozzarci. In tempi di guerra, traditori bell’e buoni.

Quei soldatini sconosciuti, tra i quali la madre di uno di loro scelse quello che li avrebbe tutti rappresentati nel ricordo grato della Patria, non facevano differenza tra i governanti che si alternavano, anche allora, alla guida del Paese. Ne condividessero o meno gli orientamenti, in gran parte addirittura senza nemmeno conoscerli, non si tirarono indietro dinanzi alla chiamata della Patria. Per loro, come per i loro figli o fratelli minori che inondarono di sfortunato valore le nevi russe ed i deserti africani per poi spesso ritrovarsi nella Resistenza per onorare lo stesso giuramento, come per le vittime di Stalin, che difesero Stalingrado con sovrumano coraggio, come per i bambini di Berlino, che tentarono l’ultima difesa del Reich, giusto o sbagliato che fosse, era comunque il loro Paese. Poi perfino Churchill fu licenziato dal suo Popolo. Ma soltanto quando era già tornata la pace.