Quel lavorìo per correggere le norme antievasione e salvare ‘l’anima’ del Pdl
05 Settembre 2011
C’è il lavoro sui contenuti della manovra per correggere, migliorare e quello sui principi per impedire al Pdl di ‘perdere l’anima’. A cominciare dalla revisione delle misure anti-evasione, vero nodo sul quale il Pdl rischiava di giocarsi non solo e non tanto i voti, ma soprattutto l’identità. C’è tutto questo – e non è poco – dietro al lavoro silente e martellante che in questi giorni a tappe serratissime in Senato è stato chiuso col via libera della Commissione Bilancio e oggi approda in Aula. Ma se questo è il campo su cui, a leggere le modifiche al decreto, si è calibrato confronto e mediazione interna, altro ancora c’è da fare e il Pdl dovrebbe segnarselo in agenda per un motivo molto semplice: consolidare gli obiettivi di oggi.
Sulla parte fiscale le novità sono rilevanti rispetto alla versione originaria che appariva più come un sistema occhiuto attraverso il quale lo Stato metteva mani e piedi nella vita di ogni persona. Un sistema pervasivo e punitivo difficile da conciliare con lo spirito del ’94 e il dna di un centrodestra liberale e riformista. Il paradosso è che le dichiarazioni dei redditi on line da parte dei Comuni, l’obbligatorietà di indicare nome della banca, conto corrente e operatore finanziario, la retroattività delle misure solo per citare i casi più eclatanti, hanno dato la stura a Visco per gonfiare il petto e dire in un’intervista che, in fondo, il centrodestra non ha fatto altro che copiare il suo programma fiscale ai tempi dei governo Prodi. Al danno la beffa.
Il lavoro silente fatto al Senato ha scongiurato sia il danno che la beffa, riportando nei giusti binari contenuti (manovra) e principi (‘anima’ del Pdl). Non è certo un caso se dal decreto è scomparsa la pubblicazione on line dei redditi dei cittadini (resta solo la facoltà per i Comuni ma solo per categorie e aggregati, quindi non su base nominativa), né se non c’è più la retroattività o, ancora, se non è più obbligatorio declinare nome della banca, conto corrente e operatore finanziario. L’indicazione del conto corrente resta come opzione del cittadino per una rimodulazione di eventuali sanzioni, una volta accertata l’evasione fiscale. E qui sta il nodo: in pratica si ribalta la logica, non più invadente e punitiva, che diventa strumento incentivante per recuperare un rapporto corretto col fisco.
Quanto basta a Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, per rivendicare i risultati “senza precedenti” conseguiti dal governo in questi tre anni (un miliardo e passa di soldi riportati nelle casse dello Stato) e ribadire la rotta che non deve mai essere abbandonata: da un lato “nella lotta all’evasione fiscale occorre tutto il rigore necessario ad aggredire una situazione da molto tempo oggettivamente patologica”; dall’altro “cercando per il possibile di eliminare rigidità e inutili eccessi” perché la capacità di “distinguere tra il rigore e il controllo delle vite degli altri è la specificità che differenzia la nostra cultura dalla cultura dei nostri avversari”.
Come a dire: è possibile combattere l’evasione fiscale senza consentire a Vincenzo Visco di rilasciare interviste per dire che stiamo copiando da lui.
Tre misure riviste e corrette con le quali, di fatto, si interviene nel cuore delle norme anti-evasione senza snaturarne l’efficacia e il doveroso rigore ma al tempo stesso senza scivolare nel rischio (fino a qualche ora fa concreto) di una deriva punitiva e ideologica, da stato di polizia tributaria. Tre misure con le quali il pacchetto di regole si differenza in maniera sostanziale e concreta da quello a suo tempo partorito da Visco. Che ora non potrà più fare interviste come quella che ha rilasciato in questi giorni. Armi spuntate per la sinistra, dunque, mentre il Pdl ha difeso e salvaguardato il principio del rigore nella lotta agli evasori armonizzandolo con la propria visione liberale. ‘Anima’ salva?
Per buona parte è così, ma non del tutto. C’è un’altra norma che, a nostro avviso, occorrerà rivedere da qui ai prossimi mesi: la galera per chi evade oltre i tre milioni di euro. Intendiamoci, ciò non significa difendere i furbetti o trovare la gabola perché alla fine possano continuare a farlo più o meno indisturbati. Ovviamente non è così e chi lo sostiene, evidentemente è in malafede. Piuttosto il principio è un altro: evitare che si generi un clima da odio sociale, creando invece le condizioni affinchè gli evasori paghino ciò che hanno sottratto allo Stato e ai cittadini e non lo facciano più. Certo, bisogna rovesciare il paradigma ma è possibile farlo.
La norma dice che chi non paga le tasse per oltre tre milioni va dritto in galera e decade l’effetto della sospensione condizionale della pena. Benissimo, ma i tre milioni di euro non dovrebbero essere rapportati al reddito? E ancora: il punto vero è verificare se vi sia stato effettivamente dolo, cioè volontà di fregare il fisco e la comunità.
Perché e non sarebbe la prima volta, ci sono casi in cui il farraginoso meccanismo burocratico di adempimenti, leggi, leggine, sotto-leggi e normative rappresentano un ostacolo specialmente per le aziende, anziché un’autostrada da percorrere senza dossi e cunette. Elementi da considerare e che il centrodestra non può sottovalutare.
Altro tema, non facile da affrontare in tempi di anti-casta e caccia all’untore. Eppure una riflessione meriterebbe farla. Il tema è quello dell’abbassamento pari al 15 per cento dello stipendio dei parlamentari che svolgono una professione. Non si comprende perché un magistrato che smette di fare il parlamentare ritrova il suo posto di lavoro e come lui pure un docente universitario, mentre così non è per un libero professionista che in base alla norma contenuta nella manovra deve smettere di fare la professione per fare il parlamentare.
Tutto ciò rischia di alimentare una sorta di odio per la libera iniziativa che – invece – è parte integrante del patrimonio genetico del Pdl. Non solo, ma quanto previsto nella norma rischia anche di frammentare la rappresentanza e alla fine, magari, si arriverà a un parlamento fatto di funzionari. Anche questo è un aspetto che il Pdl dovrebbe attenzionare.
Infine, l’altra questione da segnare nel post-it del Pdl riguarda tutto il dibattito – spesso demagogico – che in questi giorni si è scatenato attorno alla soppressione delle feste riconosciute. Anche qui, ci sarebbero cose da correggere perché non si capisce per quale motivo abolire le ricorrenze patronali vada bene ma non sia lo stesso per il 25 aprile o il 1 maggio. Il rischio è abbandonare una tradizione in cui credenti e non credenti si riconoscono e sostituirla con un’altra. E’ fuor di dubbio che la sinistra abbia tutto l’interesse (politico) per smantellare i segni della nostra cultura e della nostra identità. Ma che altrettanto faccia il centrodestra è quantomeno paradossale.