Quel muro di Scampia che sembra il paradigma della sopravvivenza
09 Febbraio 2011
Un muro per arginare il disagio nel quartiere di Gomorra. Quella vera, che vive di ordinarie emarginazioni e si alimenta di vane speranze. Scampia, zona franca dello spaccio, cerca un espediente per lenire ferite di drammatica solitudine.
Qui, l’espressione “riqualificazione” si è assopita da tempo nel cassetto delle utopie necessarie. Se è vero che nei quartieri, dove la realtà supera di gran lunga la fantasia, si vive di compromessi, allora anche il terrapieno anti-drogati, alto quattro metri ed eretto dai condomini del lotto P di via del Cimitero, più che un deterrente sembra il paradigma della sopravvivenza.
Esasperata dall’assalto quotidiano degli eroinomani, Scampia si autotassa per colmare una lacuna di inefficienze. “Le istituzioni si ricordano di noi solo in campagna elettorale” lamenta Chiara, giovane attivista di Campania in Movimento, parlando al Corriere del Mezzogiorno. Accuse lapidarie che cadono nel vuoto delle promesse disattese.
Lì sono tanti, troppi, gli "zombies" che colano sangue, fanno sesso in strada, si denudano per bucarsi, alimentano il mercato dell’illegalità: il muro vorrebbe almeno porli dall’altra parte, ma a Scampia il confine tra identità e alterità è assai labile. Coesistono storie di riscatto e verdetti di impunità.
E Napoli, stando alle ultime cronache di colore, è anche l’ultimo baluardo dei panni stesi. Dopo l’editto del sindaco genovese che le ha rese illegittime, le caricaturali lenzuola bianche messe ad asciugare sulle corde che congiungono balconi paralleli, nei vicoli stretti e senza luce, saranno solo il simbolo di Partenope. Come il mare visto da Posillipo, il presepe a San Gregorio, l’inquietudine di Spaccanapoli. Cartoline di una città riluttante a rientrare nella triade pizza, camorra e mandolino. Raccontata attraverso la bicromia degli stereotipi, Napoli soffoca nel ventre delle sue contraddizioni. Il colera, oggi, è l’assuefazione. Palazzo San Giacomo batta un colpo.
Il muro di Scampia farà discutere gli abili costruttori di demagogie e acquisterà appeal mediatico se qualcuno saprà renderlo abilmente strumentale, ma il messaggio è subliminale solo per quelli che non vogliono vedere: chi invoca giustizia senza “ricevere udienza” cede, vulnerabile, al gioco della parti. E, la parte in questione, vorrebbe convincere che vivere di illegalità è meglio che morire di indolenza.