Quella brillante mediocrità politica che accomuna Fini a D’Alema (e non al Cav.)
22 Aprile 2010
Massimo D’Alema, classe 1949. Gianfranco Fini, classe 1952. Due uomini, due politici, un unico destino che li accomuna: la brillante mediocrità. D’Alema è un mediocre di successo e Fini è… un mediocre di successo. Di successo, certo, perché entrambi, professionisti della politica, nel mondo del lavoro non avrebbero saputo cosa fare, ma, a un certo punto, sono stati insediati nel sistema e da quel momento in poi si sono goduti la vacanza. Vacatio che è costata e costa non poco ai contribuenti, ma questo non vale solo per loro, sia chiaro. Solo che loro – i due vati della nuovelle politique di Sinistra e di Destra – avrebbero dovuto incarnare il Nuovo e il Progresso, delle loro rispettive parti politiche e dell’intera Nazione. Francamente, non mi pare che le cose siano andate secondo le aspettative. Esagerate, su questo non ci piove.
D’Alema non si è laureato, frequentava la Scuola Normale Superiore, uno dei pochi errori istituzional-pedagogici di Napoleone – decreto napoleonico del 1810 relativo agli “stabilimenti di istruzione pubblica” in Toscana, provincia dell’impero francese dal 1807 -, laboratorio di nullità a spese dei contribuenti, ma da quelle parti ha imparato che mangiare a ufo è meglio che pagare le tasse e dover sgobbare magari per comprare i libri. Una buona scuola. La stessa di Adriano Sofri che, dopo una condanna a 22 anni per l’assassinio del commissario Calabresi, oggi pontifica sul giornale-partito La Repubblica e insulta come se niente fosse il Presidente del Consiglio per aver detto una ovvietà non accettabile: Saviano ci ha rotto i coglioni con la sua supponenza anti-italiana, che fa cattiva pubblicità ad un Paese governato da gente che sbatte in galera i camorristi e i mafiosi, confiscando loro i beni, per poi darli a chi aiuta la società e le persone in difficoltà. Cioè, non Saviano. Bene, questa è la Normale e D’Alema, con Mussi e altri notevoli calibri dell’ex PCI, si è formato anche a questa scuola. Senza trascurare le sezioni, la Fgci, etc. etc.
Fini è uno che deve tutto prima a Giorgio Almirante, il quale, per non avere un rautiano tra le scatole, lo ha messo alla guida del partito neofascista, e poi, viepiù direi, a Silvio Berlusconi, che lo sdoganato – per quanto al Presidente della Camera non piaccia questa espressione – e quindi inserito nella sua creatura ed invenzione, come amava dire don Gianni Baget Bozzo, vale a dire il centrodestra italiano. Una roba mai vista in tutta la storia repubblicana.
Dopodiché, di D’Alema si dice sempre: “E’ intelligente”. E di Fini si dice sempre: “Parla bene”. Forse è anche intelligente. Non hanno mai vinto niente. Non hanno mai costruito niente. Storace ha detto di Fini, e lo conosce bene: “E’ fatto così: dove sta, sta male e finisce sempre per detestare e poi affossare il partito che guida: l’ha fatto col Msi, poi con An, e se fosse diventato leader del Pdl, avrebbe sciolto anche quello”. Scioglie i partiti, ma non i dubbi di chi non lo vuole a capo di un partito. Ma forse sappiamo perché.
D’Alema controlla il 25% delle tessere e vuole fare accordi con Fini. D’altronde, le loro fondazioni – Italianieuropei e Farefuturo – già lavorano insieme, e da tempo. Sul piano politico, i tipi umanio si incontrano: nichilisti entrambi. Non laici. Togliatti era per l’art.7 e trattava con la Chiesa. D’Alema, un giorno ti dice che il Migliore aveva ragione, e il giorno dopo ti spara a zero contro Ruini, perché ci sono troppe ingerenze ecclesiastiche. Tipi umani che vivono agganciati al proprio ombelico e al proprio Ego. Al contrario di Berlusconi. Sarà difficile da capire, ma invece è così. Berlusconi ama trattare e dialogare per avere potere e consenso, perché sa che, alla fine, cinque vale più di quattro, dunque conta e conta bene. Ha bisogno degli altri, è machiavellico nel senso migliore del termine. La tattica lo snerva perché essa obbliga a stare dietro, a guardare, mentre lui vuole metterci sempre la faccia e il corpo. Vuole che gli vengano tutti addosso in massa, così acchiappa più voti e spariglia le carte. Bossi e Berlusconi vanno d’accordo perché, in modalità e stili diversi, sono animali da palcoscenico e da battaglia. Macchine da guerra.
D’Alema è quello che fa le cene per accordarsi, Berlusconi le fa per contarsi e vantarsi. E’ diverso. Fini convoca i suoi nei suoi uffici per mettere su una posizione, che poi cambierà appena usurata la sua penetrazione; Berlusconi fa i comizi in favore di una candidata, la Polverini, che non voleva e che non avrebbe mai scelto. Ma era la candidata del Pdl e lui è il Pdl. Questa è una garanzia, non una minorità politica. Fini si è alleato nel 1999 con Segni per smanie salottiere che anche oggi coltiva; D’Alema ha preso un partito che aveva mandato a fondo, grazie ai giudici di Milano, il Psi, e non è riuscito a diventare socialista, pur essendo diventato vicepresidente dell’Internazionale socialista, grazie a Bettino, ovviamente.
"Parassiti" della storia e, dunque, incapaci di generare politica. Ma il limite è antropologico, prepolitico, non meramente politico. Di conseguenza, a coloro che continuano a sbandierare l’impoliticità dei “moderati” e la politicità dei “nuovi allineati” finiani, rispondo: ecce homo! Ecco l’uomo, è così, è fatto così, basta guardarlo e scrutare la sua storia. La storia – anche di un uomo – è tutto. Se gli togli quella, rimangono soltanto le campagne stampa. Poca lana.