Quella di Nikki Haley è stata una vittoria del popolo repubblicano
11 Giugno 2010
Martedì si sono celebrate le primarie in diversi Stati nordamericani, in vista del voto di medio termine del 2 novembre. Trarre conclusioni definitive da risultati tanto parziali e iniziali, e del resto completamente interni ai due partiti maggiori che con il voto popolare stanno selezionando i front-runner i quali in autunno si disputeranno i seggi in palio al Congresso e alla guida di alcuni Stati dell’Unione, sarebbe azzardate e sciocco, ma la sottolineatura a un risultato almeno indiziariamente indicativo non è male darla.
In casa Repubblicana, infatti, degno di vera nota è il caso di Nimrata Randhawa, indiana (dell’India), almeno di origine, e più nota con il nome occidentale di Nikki Haley. L’8 giugno si è candidata alle primarie per il posto di governatore del South Carolina, ha ottenuto un exploit senza precedenti (se alla fine ce la facesse potrebbe infatti diventare il primo governatore in gonnella di quello Stato) e ha sbaragliato avversari ben più, sulla carta, quotati. Avendo ottenuto un comunque incredibile 49% dei voti, riproverà a chiudere definitivamente la partita al ballottaggio del 22 prossimo venturo. Ebbene, cos’ha ha di magico la sua performance?
Ha di magico che, oltre al fatto di essere “extracomunitaria” e rocciosamente conservatrice senza averne vergogna né sentirsi in dovere di domandarne scusa ai liberal del mondo intero, ai pinguini dell’Antartide e a Jane Fonda, la Haley ha trionfato (sì, nei fatti ha già trionfato, comunque vada poi) grazie agli endorsement diretti pronunciati dall’ex candidato Repubblicano alla Casa Bianca Mitt Romney e dall’ex candidata Repubblicana alla vicepresidenza federale Sarah Palin. Cioè all’uomo che per mesi e mesi è stato in vetta alle classifiche di gradimento del popolo conservatore nel primo anno di disastri di Barack Hussein Obama e di colei che, a torto o a ragione, un mucchio di gente identifica con i “Tea Party”, in entrambi i casi due outsider rispetto alle scuderie di partito e in sintonia con una constituency di Destra non automaticamente Repubblicana enorme. Insomma, con il conservatorismo di popolo e schietto.
Per la Haley, infatti, il “miracolo”, l’hanno fatto proprio questi appoggi imprescindibili, dati l’uno dell’integerrimo mormone “Dio, patria, famiglia e business” Romney, l’altro dalla moglie-madre-madrina di ogni buon destro americano oggi, la già falsamente chiacchierata Palin, che nessuno riesce, guarda un po’, a spodestare. I due messi assieme sono cioè riusciti a rispedire al malizioso mittente la gragnola di accuse mosse contro la Haley alla vigilia del voto, ché sarebbe saltato all’improvviso fuori (da noi i giornaloni se ne sono accorti subito, di questo si sono accorti subito) che la bella Nikki dalla pelle olivastra avrebbe un debole per gli analisti politici extraconiugali. Ora: lei è così sicura di sé d’avere subito detto che semmai ne verrà fuori qualcosa di serio lascerà la scena pubblica, ma agli elettori “Dio, patria e famiglia” a cui ha fatto appello è bastata la garanzia del tandem Romney-Palin. E, ricordiamolo, non è che i conservatori americani su certi temi siano tanto condiscendenti qualora fiutassero anche solo un pochino di bruciato…
A noi, però, che americani non siamo e che dei presunti amanti della Haley nulla sappiamo, ci si conferma grandiosamente sorprendente il potere reale che può e che sa esercitare oggi sulla politica grande il movimento conservatore e i “tea Party” dentro di esso, soprattutto dopo che tutti avevano data per morta la “Right Nation”. Con una postilla non conclusiva: ma è mai possibile che se uno si fa un amante o due, la cosa fa scandalo solo se è in corso la campagna elettorale, la notizia apprendendosi sempre e solo in quelle stagioni dell’anno?…
Marco Respinti è il Direttore del Centro Studi Russell Kirk