Quella di Obama è un’America più divisa e meno perfetta di un anno fa
22 Febbraio 2010
di Peter Wehner
Sono trascorsi esattamente tre anni da quando, fra grandi speranze e attese, Barack Obama annunciò la sua candidatura alla presidenza. “In risposta a una politica che ci ha esclusi,” disse, “che ci ha detto di fermarci, ci ha divisi per troppo tempo, dovete credere che possiamo essere un solo popolo, costruendo, per quanto sia possibile, una unione più perfetta. Questo è il viaggio che intraprendiamo oggi”.
Obama concluse il suo discorso con queste parole: “E se vi unirete a me in questa ricerca quasi impossibile, se sentirete la chiamata del destino, e se vedrete, così come io lo vedo, un futuro di infinite possibilità stagliarsi davanti a noi; se sentirete, come io lo sento, che è giunto il momento di svegliarsi, e di scacciare le nostre paure, e di risarcire il debito che abbiamo con le passate e le future generazioni, allora sono pronto a sposare questa causa, e a marciare con voi, e a lavorare con voi. Insieme, iniziando da oggi, finiamo il lavoro che deve esser fatto, e annunciamo la rinascita della libertà su questa terra”.
Di questi tempi ogni campagna presidenziale inizia con delle aspettative troppo alte e con degli obiettivi che non possono essere raggiunti. Ma Obama e il suo team hanno superato qualsiasi campagna del passato, promettendo cambiamenti di proporzioni bibliche, annunciati da una persona che veniva paragonata da una parte dei suoi sostenitori a una specie di semi-dio (durante le elezioni, i suoi collaboratori parlavano di lui come se fosse un “Gesù Nero”). E adesso, a un anno dall’inizio della sua presidenza, tutto sta crollando intorno a loro.
La nazione è più divisa sotto Obama di quanto non fosse sotto il suo predecessore. Cresce il cinismo mentre cala la fiducia nel governo. Lo spazio di manovra del presidente è appeso a un filo. I membri del suo partito hanno subito sconfitte schiaccianti e iniziano ad addossargliene la colpa, oppure a rinfacciarsele uno contro l’altro. I liberali sono sempre più scontenti di Obama, gli indipendenti in modo particolare, e i democratici in maniera più generale, lo stanno abbandonando con un rapporto di 2 a 1. Il partito repubblicano è tornato in scena più in fretta e più forte di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare un anno fa. Le elezioni di medio termine si prospettano come una batosta epica per il Presidente, il suo programma e il suo partito. Obama stesso sembra aver perso la rotta, incerto su come procedere. Sta disperatamente cercando di ricreare la magia della sua campagna, battendo su temi che, una volta, si erano rivelati vincenti, apparentemente inconsapevole del fatto che il suo momento d’oro è perduto, ‘andato’. Per un numero crescente di americani, inclusi molti di quelli che lo votarono, è ormai un ricordo distante e amaro.
Ora come ora è arduo pensare che ci sia un’altra persona in questa amministrazione che abbia inflitto più danni a se stesso e al suo partito. Il “viaggio” di cui parlava il Presidente è stato, da qualsiasi prospettiva lo si osservi, un fallimento. Barack Obama ha ancora tempo per riprendere il controllo della nave. Ma nulla di ciò che ha fatto come presidente riuscirebbe a convincere gli americani a tornare alla fiducia di un tempo. Sotto la sua guida, siamo una unione meno perfetta.
Tratto da "Commentary"
Traduzione di Michele Di Lollo