Quella di Obama non è la politica estera degli Stati Uniti

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Quella di Obama non è la politica estera degli Stati Uniti

05 Marzo 2011

“Le dittature sono fuorilegge. Ogni nazione libera aveva il diritto di invadere la Germania nazista, così come oggi ha il diritto di invadere l’Unione Sovietica, Cuba e qualsiasi altra gabbia di schiavi. Che una nazione libera scelga di farlo o no è solo dettato dal suo interesse, non dal rispetto di inesistenti diritti di governi criminali. Non è un dovere di una nazione libera quello di liberare altre nazioni al prezzo del proprio sacrificio, ma una nazione libera ha il diritto di farlo, quando e se sceglie di farlo”. Ayn Rand, filosofa e scrittrice russa, fuggita negli Usa negli anni ’20, scrisse questo passaggio de “La virtù dell’egoismo” nel 1964. Ronald Reagan mise in pratica i suoi principi di politica estera 20 anni dopo.

Il mondo di oggi è molto cambiato. Il blocco comunista non c’è più. Le dittature dell’Est sono state travolte dalle rivoluzioni del 1989. Quelle del Medio Oriente potrebbero fare la stessa fine, messe in crisi da una catena di rivolte locali. Eppure gli Stati Uniti sembrano proprio assenti, spettatori passivi di un mondo che cambia.

Ne abbiamo parlato con uno Edward Hudgins, direttore della Atlas Society, un’associazione molto attiva nel diffondere la filosofia di Ayn Rand.

Dottor Hudgins, come possiamo giudicare le rivolte mediorientali di queste settimane?
Non possiamo parlarne come di un fenomeno omogeneo. Se si guarda alle rivolte in corso e alle loro cause, paese per paese, vedremo che sono vicende molto diverse, alcune molto incoraggianti, altre preoccupanti. La rivoluzione, in sé, non è un valore. Basti pensare a quella in Iran, che ha rovesciato un monarca autoritario per poi instaurare una dittatura totalitaria quale quella dei mullah. La Rivoluzione Francese, anche, iniziata nel nome della libertà, ha subito portato alla dittatura di estremisti, a esecuzioni di massa e infine a una dittatura. Per non parlare della Rivoluzione Russa, iniziata con l’intento di instaurare un governo rappresentativo della volontà popolare e finita poco dopo con il totalitarismo bolscevico. No, decisamente, la rivoluzione non è sempre una bella cosa. Ma nella storia vediamo anche esempi di ottime rivoluzioni, quale quella americana del 1776 e quella britannica del 1688: entrambe hanno portato alla libertà dei sudditi dalla tirannia. Veniamo all’Egitto. Le ragioni della rivoluzioni sono soprattutto due. L’economia stava andando male, soprattutto in questi ultimi anni. Sempre più gente, soprattutto i giovani, provavano un forte senso di frustrazione, non solo perché erano poveri, ma anche perché non era riconosciuto loro alcun diritto di partecipare al processo decisionale. Inoltre il governo era totalmente corrotto, come tutti i governi mediorientali, ad eccezione di Israele. Queste sono le cause più immediate della rivolta. Ma se andiamo a vedere, fra i gruppi rivoluzionari, il più potente e organizzato è quello dei Fratelli Musulmani. I cui intenti sono molto chiari: autoritarismo, imposizione della shariah e negazione dei diritti individuali.

A parte la Libia, in cui la situazione è ancora molto confusa, c’è un nuovo inizio della contestazione in Iran. Cosa ne pensa?
Può essere una grande speranza per un futuro migliore nel Medio Oriente. Perché l’Iran è governato da un regime rivoluzionario, che è uno dei peggiori esportatori del terrorismo, una minaccia, non solo per gli Stati Uniti, ma per tutti i paesi liberi del mondo. E’ nel nostro stesso interesse che il regime iraniano imploda il più rapidamente possibile. Eppure abbiamo proprio toccato con mano l’apatia dell’amministrazione Obama in occasione della Rivoluzione Verde iraniana di un anno e mezzo fa. Invece di esprimere chiaramente una posizione a favore di chi lotta per la sua libertà contro un nostro nemico, si è limitato a predicare moderazione. Parole vuote, totalmente prive di ispirazione che, penso, rappresentino bene l’aridità morale di questa amministrazione. Proprio quest’anno celebriamo il centenario della nascita di Ronald Reagan. Del presidente che, negli anni ’80, chiamava l’Urss, senza mezzi termini, “un impero del male” e che riconosceva, senza alcun dubbio, che dei due sistemi che governavano il mondo, uno promuoveva la libertà individuale e l’altro l’oppressione. Nel 1989 io ero in Unione Sovietica con la delegazione della Heritage Foundation, per partecipare alla prima conferenza internazionale sul libero mercato che si teneva oltre la Cortina di Ferro. E la cosa che più mi ha sbalordito è che tutti avevano capito e amato le parole di Reagan, tutti erano stati incoraggiati dalla sua presa di posizione. Sarebbe stata molto importante un’analoga determinazione di Obama per aiutare i combattenti della libertà in Iran.

Cosa possono fare gli Usa e le altre democrazie per aiutare i rivoluzionari che si battono per la libertà?
Io penso che tutti i Paesi liberi occidentali debbano dare il loro sostegno morale ai rivoluzionari. Certamente nel caso dell’Iran. Non sto parlando necessariamente della guerra, ma misure che possano minare i regimi pacificamente.

Sarebbe legittimo un intervento all’interno di uno Stato sovrano?
In generale, penso che non sia un dovere del nostro governo quello di risolvere i problemi di tutto il resto del mondo. Ma, attenzione. E’ parte integrante della difesa della libertà degli americani capire da quale parte stiamo, per quali valori ci battiamo. Ed era ciò che Ronald Reagan aveva capito sin da subito. Non Obama: i suoi principi sono, come minimo, confusi. Nei suoi primi sei mesi di mandato non ha fatto altro che girare il mondo a chiedere scusa per quel che gli Usa avevano realizzato fino a quel momento. E’ stata una performance moralmente oscena. Quando i giovani cinesi avevano occupato Piazza Tienanmen, nel 1989, avevano costruito una statua che era modellata sulla nostra Statua della Libertà: era quella la loro ispirazione. E’ quella per cui Obama chiede scusa? Mettiamo le cose in chiaro: fra tutte le dittature, molte non sono pericolose per la nostra sicurezza e possiamo fare ben poco nei loro confronti. Altri regimi tirannici, quale l’Urss a suo tempo e l’Iran adesso, costituiscono una minaccia diretta, non solo alla nostra libertà, ma anche a quella di tutta l’Europa e gran parte del mondo libero. Sono regimi guidati da ideologie ostili al nostro sistema di valori. Ed è perfettamente legittimo, per noi, combattere contro di loro una battaglia ideologica per minarli al loro interno.

Quale principio dovrebbe guidare la politica degli Stati Uniti, isolazionismo o esportazione della democrazia?
Nessuna delle due. Io penso che l’unico obiettivo legittimo della politica estera, non solo della nostra, ma di tutti gli Stati, sia quello di difendere al meglio i diritti di vita, libertà e proprietà dei propri cittadini. Questo vale anche per le politiche di immigrazione. Negli Stati Uniti sono generalmente pro-immigrazione. Perché abbiamo un sistema e una cultura di fondo che favoriscono l’integrazione. Italiani, irlandesi, ebrei, messicani, diventano ben presto americani, pur mantenendo le loro tradizioni. In Europa è diverso. Se il governo olandese, o quello italiano, sono veramente dediti alla protezione di vita, libertà e proprietà dei loro cittadini, non devono permettere a nuove masse di immigrati di trasformare le vostre società, a partire dall’imposizione della shariah. Un conto è entrare in un Paese cercandovi lavoro, che è sempre un’ottima cosa. Tutt’altro è entrarvi per esportare un’ideologia estremista, come facevano i comunisti a suo tempo, come fanno ora i radicali islamici e l’Iran.

E’ legittimo sostenere un “regime change”?
Dipende dai casi. E’ solo una questione pratica. Come ho anticipato, non credo che sia dovere degli Stati Uniti risolvere i problemi altrui al prezzo della vita dei propri cittadini. Un cambio di regime è giustificato se è indispensabile alla nostra difesa. E deve comunque avere dei costi ragionevoli rispetto ai risultati ottenuti. Vale la pena tentate il “regime change” in casi come: Germania nazista, Urss e Iran. Ma anche in questi casi, è sempre meglio un’alternativa non bellica alla guerra. Perché in una guerra ci può anche essere tecnicamente un vincitore, ma nessuno vince veramente. Tutti devono accettare grandi sofferenze, l’unica differenza è che qualcuno soffre ancora di più.

I padri fondatori degli Stati Uniti ritenevano che non ci si dovesse immischiare delle guerre altrui e che non si dovessero stringere alleanze permanenti. E’ ancora possibile?
No. Per motivi banalmente tecnologici. Nel XVIII secolo eravamo separati dal resto del mondo civile da due oceani e nessuno, a parte l’Inghilterra, poteva ragionevolmente minacciarci. Ora siamo potenzialmente esposti agli attacchi provenienti da ogni parte del mondo. Un missile intercontinentale può percorrere metà del globo e colpirci in appena mezzora. Per questo non siamo più isolati. Per motivi pratici, abbiamo bisogno di un sistema internazionale favorevole alla libertà. L’alleanza, o il sistema internazionale, più favorevole alla libertà va valutato caso per caso. L’Unione Europea avrebbe potuto essere ottima, in questo senso, se fosse stata un’unione economica. Ma ambisce a diventare un super-Stato e questo potrebbe creare tensioni fra le stesse nazionalità che la compongono. Se le nazioni commerciano liberamente tra loro, tendono a diventare più tolleranti: non badano più alle differenze, quanto alla convenienza di scambiare beni e servizi. Se le mettiamo tutte sotto un unico governo, tenderanno, prima o poi, ad accentuare le loro differenze e intolleranze. L’Onu non è sicuramente il luogo giusto in cui difendere la libertà. Perché nelle nazioni libere, soprattutto quelle occidentali, tendiamo ad avere istituzioni democratiche, a lasciare il mercato libero e a proteggere i diritti individuali. Nel resto del mondo no. E l’Onu pone tutti i Paesi, liberi e non liberi, sullo stesso piano. Un’alleanza internazionale ha senso, solo se i suoi membri promuovono e condividono gli stessi valori.