Quella di Pearl fu una decapitazione non una “perdita”

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Quella di Pearl fu una decapitazione non una “perdita”

30 Maggio 2010

Obama verrà ricordato soprattutto per i suoi discorsi pieni d’idealismo che non sempre ottengono l’effetto desiderato. Come quando volò a Copenaghen per sponsorizzare la “sua” Chicago a capitale delle prossime Olimpiadi e il comitato scelse Rio, oppure quando raggiunse Boston per appoggiare la candidatura di Marta Coakley per un posto in Senato e gli elettori del Massachusetts regalarono il posto che fu di Ted Kennedy a un Repubblicano. La settimana scorsa, invece, il Presidente era alle prese con il discorso sul “Daniel Pearl Press Freedom Act”, la legge in memoria del giornalista americano sgozzato dai jihadisti a Karachi il primo Febbraio del 2002.

“La perdita di Daniel Pearl – ha detto Obama – è stato uno di quei momenti che hanno catturato l’immaginazione del mondo perché ci ricorda quanto sia grande il valore della libertà di stampa”. Parole pronunciate mentre intorno al Presidente si stringevano addolorati i familiari del giornalista di origini ebraiche ammazzato come un cane dai nemici dell’America. Ebbene, forse ci si poteva aspettare qualcosina in più dal maestro di retorica e dal suo stuolo di speech-writer profumatamente pagati dai contribuenti, che ogni giorno non hanno altro da fare che passare al Presidente la scaletta e i testi dei suoi discorsi.

Proviamo allora ad analizzare sinteticamente la frase pronunciata da Obama. “La perdita di Daniel Pearl”. La perdita? Pearl è stato rapito e decapitato e la sua testa sollevata come un trofeo in uno snuff-movie. Forse si poteva scegliere un sostantivo meno insipido e passivo, una prosa un pizzico più arrabbiata e rigorosa, insomma. Ma il meglio deve ancora venire: la morte di Pearl è stata “uno di quei momenti che hanno catturato l’immaginazione del mondo”, manco fosse il matrimonio di Lady Diana piuttosto che la dipartita di Michael Jackson. Tanto più che “momenti come questo” dimostrano esattamente il contrario, e cioè che il mondo è fatto di luoghi assai diversi tra loro, dove da una parte si soffre e si piange per gli occidentali a cui viene fatto lo scalpo e dall’altra il video della decapitazione diventa un “cult” diffuso in modo virale fra i bazar e le madrasse nella esultante quanto delirante Rete dell’odio islamista. Bel modo di difendere la libertà di stampa.