Quella di Putin non è stata una “vittoria di Pirro”

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Quella di Putin non è stata una “vittoria di Pirro”

05 Marzo 2012

Vittoria di Pirro, successo dimezzato, inizio della fine, tramonto di un’epoca. A leggere certe spietate analisi sulla "vittoria" di zar Vladimir alle presidenziali in Russia, sembrerebbe che sia iniziata davvero la sua parabola discendente, contestato in patria, accusato di aver truccato le "elezioni", tradito dalla classe media nonostante la propaganda martellante. E potrebbe anche essere che i russi, usciti dalle macerie morali del comunismo e dalle miserie economiche dell’eltsinismo, ora che il Paese si avvia verso "una fase post-autoritaria di modernizzazione democratica", alla fine si rivoltino contro il padre-padrone, mettendoci una pietra sopra al prossimo giro elettorale (o anche prima).

Una cosa è certa, però, dovranno pensarci da soli. Leggendo le dichiarazioni dei principali leader occidentali, infatti, quella di Putin non sembra una mezza vittoria, vista la fretta con cui la signora Merkel e il presidente Sarkozy, il premier Cameron piuttosto che l’ex presidente del consiglio italiano Berlusconi, per non dire dei tanti amici sparsi tra Pechino, Caracas e Damasco, si sono affrettati a congratularsi con l’uomo che potrebbe guidare la Russia fino al 2024. "Gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con Vladimir Putin una volta che i risultati delle elezioni presidenziali saranno convalidati", così il dipartimento di Stato in una nota obliqua, perfetta per questo scampolo di America democratica in cui le denunce degli osservatori internazionali sembrano un optional. "La scelta degli elettori era limitata, la competizione elettorale mancava di correttezza ed è mancato un arbitro imparziale," dicono gli osservatori, "ci sono stati problemi seri sin dall’inizio di questa elezione. Il punto di un appuntamente elettorale è che l’esito dovrebbe essere incerto. Questo non è stato il caso della Russia".

Tutti sanno quanto vale l’oro blu e quello nero di Mosca, nessuno si azzarda a constrastare Gazprom – il nuovo partito-stato – e non fa niente che nella Cecenia su cui Putin ha sparso il sale oggi il presidente prenda il 99,99% dei voti, facendo rivoltare nelle tombe le vittime di Beslan. La Russia dopo il "reset" serve più che mai. Serve all’Onu per temporeggiare con la Siria. Serve agli Usa per non lasciarsi dietro e a caro prezzo un Afghanistan ritalibanizzato. Serve agli emergenti come un modello di stato autoritario low profile a cui ispirarsi. Per cui è vero che la Russia, se vuol essere pienamente democratica, dovrà guardare al dopo-Putin, commemorando gli eroi del dissenso come la Politkovskaja. Ma è anche vero che per adesso a Mosca quel tipo di democrazia non c’è e al 63% dei russi (sulla carta) sta benissimo così, come sta bene alle leadership occidentali. Se Pirro fosse in Putin oggi esulterebbe.