Quella gigantesca bolla mediatica per un’eucaristia (non) negata

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Quella gigantesca bolla mediatica per un’eucaristia (non) negata

12 Aprile 2012

Ben venga il giornalismo dal basso ma quando finisce per creare spaventosi “mostri mediatici” bisognerebbe guardarsene bene dal giudicarlo del tutto attendibile. È un recentissimo fatto di cronaca finito dritto dritto persino sulla prima pagina dell’autorevolissimo Corriere della sera a dimostrarlo.

Questa la notizia che, partendo dalla stampa locale e dai social network, ha sollevato una marea di polemiche e suscitato l’indignazione di mezzo Paese: un parroco di Porto Garibaldi, nel Ferrarese, avrebbe negato la prima comunione ad un bambino di 10 anni perché affetto da un grave ritardo mentale. Proprio per questo motivo – è quanto si legge sulla maggior parte di quotidiani, blog, Twitter e Facebook – il sacerdote avrebbe ritenuto il ragazzino incapace di capire il valore del sacramento eucaristico. Apriti cielo, la vicenda si è subito trasformata nell’emblema dell’esclusione della “vita debole” dal banchetto eucaristico e si è scatenato un vero e proprio processo alle intenzioni del prete in questione, don Piergiorgio Zaghi.

“Una storia che di evangelico ha ben poco”, scrive con toni sanzionatori il Corriere, che definisce il parroco “un personaggio poco incline alle mediazioni” e nella conclusione dell’articolo si spinge a dire: “Ora non sarà semplice uscirne. La madre del piccolo ha dato incarico a un legale di denunciare l’episodio alla Corte europea dei diritti dell’uomo”.  

Ma dietro le accuse, lo sdegno e le critiche c’è l’antefatto, l’‘altra verità’, che molti canali mediatici hanno bypassato limitandosi a gridare allo scandalo, traditi dall’informazione “facile” e tradendo la verifica dei fatti e il vaglio delle fonti. A gettare luce su quell’‘altra verità’ ci ha pensato stamattina l’Avvenire con un editoriale che smentisce le notizie circolanti in queste ore e la presunta dichiarazione fatta dalla madre del bambino alle agenzie di stampa: “Siamo amareggiati, non ce lo aspettavamo”.

“Non c’è stato alcun rifiuto dell’Eucaristia – si legge sul quotidiano diretto da Marco Tarquinio che spiega come sono andate le cose. “All’inizio di aprile avviene l’incontro in Curia. Durante il colloquio il sacerdote offre al ragazzo un’ostia non consacrata che lui respinge bruscamente. Ecco allora il suggerimento ai genitori: alla Messa della Prima Comunione il bambino sarà nelle panche insieme con i coetanei; però non riceverà il Santissimo Sacramento ma una carezza del parroco e la benedizione”. Insomma, chiarisce l’Avvenire, il percorso del bambino era stato concordato con la famiglia.

A ribadirlo a l’Occidentale è stato lo stesso don Zaghi: “La semplice realtà dei fatti è stata travisata e non so spiegarmi come”. “Io non conoscevo la famiglia – tiene a specificare il sacerdote – perché non fa parte della parrocchia né la condizione del bambino. Abbiamo chiesto all’inizio di marzo assieme ai catechisti che il ragazzo fosse inserito in un progetto diviso in parti, ed alcune di queste sono state realizzate”. E, nonostante la bufera, l’arcidiocesi continua a tendere la mano: “Noi confidiamo di poter portare il bambino all’eucaristia quanto prima anche grazie all’aiuto dei suoi compagni di classe, ed è proprio per questo che abbiamo insistito, pur non conoscendo i genitori, perché fosse inserito nel progetto”.

Il sacerdote chiarisce: “Il bambino semplicemente non haricevuto l’eucaristia nel momento in cui l’hanno ricevuta i suoi compagni perché questi sono in una posizione diversa dalla sua”. E sulla questione del presunto esposto alla Corte europea dei diritti dell’uomo “per violazione della libertà religiosa” (peraltro già smentita dalla madre del bambino disabile)  il parroco ha chiarito: “Io non ho assolutamente avuto notizia di questo, si tratta di una voce messa in giro dai giornali”. La comunità ha risposto in maniera divisa al fatto perché, a detta di don Zaghi, “c’è qualcuno che sobilla e non si capisce per quale ragione. Diverse persone pare si siano inserite dando per certe cose probabilmente sentite dire da giornalisti”.  

Insomma voci messe in giro spacciate per ‘verità svelata’ che hanno creato un enorme, gigantesco equivoco che si è autoalimentato per giorni. Un episodio che dovrebbe farci riflettere sulla qualità del giornalismo (anche quello con la ‘g’ maiuscola) ai tempi del web 2.0.