Quella guerra ai Cristiani su cui non si può tacere

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Quella guerra ai Cristiani su cui non si può tacere

Quella guerra ai Cristiani su cui non si può tacere

28 Luglio 2016

Che i giornaloni continuino pure a giocare con le parole e a prendere in prestito i lettini di psichiatri, psicologi e psicoanalisti. Tanto il paravento della retorica gli crollerà sui piedi quando i loro pazienti confideranno che sta scritto: “Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi idolatri ovuqnue li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati”. (Corano IX, 5). E ancora : “Uccideteli ovunque li incontriate […]”. (Corano II, 191) “Quando incontrate i miscredenti, colpiteli al collo finché non li abbiate soggiogati, poi legateli strettamente” (Corano XLVII,4).

Lo sanno bene, e non hanno paura di dirlo pubblicamente che i crociati sono i primi nemici. In una predica trasmessa nel 2000 dalla televisione ufficiale dell’Autorità Nazionale Palestinese, il dottor ‘Ahmad ‘Abu Halabiyyah, membro del Palestinian Authotity’s Fatwa Council, dichiarò:”Allah l’onnipotente ci ha comandato di non coalizzarci né con gli ebrei né con i cristiani, di non compatirli, non diventare loro alleati, non aiutarli e non stipulare accordi con loro”. Hanno ricevuto un chiaro mandato, e obbediscono con un senso dell’onore che non può lasciare indifferenti: è per questo che nei loro gesti c’è un valore simbolico che non ha bisogno di spiegazioni.

E’ stata la premeditazione subdola l’elemento chiave di quello  che è successo ieri in Francia. Don Jacques Hamel è stato trucidato in nome di Allah mentre celebrava messa nella piccola chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray. A lui non hanno chiesto di recitare i versetti del Corano – come agli occidentali macellati a Dacca -, ma, hanno aspettato che l’infedele, il rappresentante di Cristo in terra, stesse in chiesa, con addosso i paramenti sacri e celebrasse l’eucarestia, per sgozzarlo.  

Eppure c’è poco di sorprendente se le lame dell’islam sono sempre più affilate, e se il sangue degli infedeli continua a scorrere. A inizio mese è stato presentato al Parlamento europeo il rapporto annuale sulla libertà di religione e di credo. E il dato che emerge con chiarezza, senza tergiversare troppo, è che la libertà religiosa nel mondo è minacciata dall’islam. 

Cinque le aree su cui è stato concetrato il lavoro: Medio Oriente, Africa subsahariana e nord Africa, Asia e Oceania e le Americhe. Rileggerlo, alla luce di quello che è successo negli ultimi due mesi, lascia basiti rispetto all’indifferenza dei media e dei governi. E’ descritto in maniera evidente quanto l’islam entri in ogni cosa. Penetra in ogni aspetto dai rapporti personali – se parlo con un uomo o con una donna, è l’islam a deciderlo, frequentare uno straniero è possibile solo in seguito alla certezza che sia credente e musulmano – fino alle scelte sociali, politiche, commerciali. Dal rapporto vengono fuori tantissime situazioni drammatiche, e scorrono le pagine delle dimensioni della violazione di un diritto fondamentale. 

In Indonesia l’87% della popolazione è di religione musulmana. A regolare l’ordine è la sharia. Nel 2014 è stato approvato un decreto per rendere ancora più severe le sue norme di restrizione, e, nel 2015 la regione di Aceh ha assistito ad un’ondata di attacchi violenti contro i cristiani: sono tre le chiese distrutte dal 2015 ad oggi. Nell’ottobre dello stesso anno, in occasione di una processione cristiana, sono state fatte esplodere bombe. 

Una delle mete preferite degli occidentali, le Maldive, riconosce l’islam come religione di Stato e vuole la sua pratica come obbligatoria per tutti i cittadini. La costituzione vieta esplicitamente la discriminazione in base alla “razza, nazionalità, colore, sesso, età, disabilità mentali o fisiche, di opinione politica”, ma vistosamente, tiene fuori la fede: è la legge che impone ad ogni cittadino maldiviano di “preservare e proteggere la religione di Stato dell’Islam”. Ai non-musulmani è concesso di praticare la loro religione in privato, ma non di riunirsi in preghiera. Ai turisti possono essere venduti alcolici, ma gli oggetti religiosi, la Bibbia o le cartoline di Natale sono proibiti se vengono utilizzati al fine di fare proselitismo per gli autoctoni. L’apostasia è punita con la pena di morte. 

In Bangladesh c’è la più dura legge sulla blasfemia: è previsto il carcere a vita per chi osa insultare il Corano e Maometto. Da quelle parti la libertà di espressione è un miraggio. Bloggers, giornalisti, opinionisti e studenti vivono nell’incubo della scure pronta a punire, come succede quasi quotidianamente, per una parola di troppo contro l’islam. In Qatar è contemplata una pena detentiva di sette anni per chi distorce o abusa del Corano. I cristiani sono relegati nelle loro case ed è loro vietato mostrare pubblicamentela croce o altri simboli religiosi

In Arabia Saudita la pratica pubblica di qualsiasi religione diversa dall‘islam è illegale, e anche il culto privato è fortemente limitato. In Nigeria sono stati uccisi per ragioni di fede più di quattromila cristiani. In Iraq nel 2013 c’era mezzo milione di cristiani, ora se ne contano circa 260 mila. 

Si potrebbe continuare all’infinito. Ma cosa aggiungere rispetto all’angosciante sistematicità della persecuzione ai danni dei cristiani? Quanto alla nostra Europa, è in Francia che si registra la più alta percentuale di vandalismo nei luoghi di culto. Addirittura secondo l’Observatoire de la christianophobie il mese di maggio è stato uno dei più drammatici: statue divelte, sacrestie incendiate, cimiteri profanati, chiese vandalizzate. Ma per gli intellettuali occidentali e, per i media che li spalleggiano, è robetta da poco. Niente che meriti mezzo corsivo. La cristianofobia è un argomento che non fa vendere quanto il terrore per le conseguenze della Brexit.  

E se per loro la teoria più in voga resta quella dello squilibrato che si improvvisa vandalo o assassino, noi non ci pieghiamo. E ci rifiutiamo di credere alla favoletta melensa dell’islam moderato. Sappiamo che le cose stanno come le ha denunciate Bruce Thornton, docente di Studi classici alla California State University: “i jihadisti, come ci dicono da secoli, vogliono tornare alla gloria dell’islam, quando l’Europa tremava di fronte agli eserciti di Allah. Il loro obiettivo è il discorso d’addio di Maometto: combattere gli uomini fino a che non diranno che ‘non c’è altro dio che Allah’. Naturalmente capiscono che non possono raggiungerlo militarmente. Ma possono realizzarlo con un’erosione della nostra volontà in modo che cediamo sempre di più della nostra civiltà al controllo musulmano. E’ questo il ‘Grande Jihad’, come i Fratelli musulmani lo chiamano, e questo è a buon punto, specie in Europa”.

E, di fronte agli opinionisti nostrani che sventolano (ancora!) i tanti “versetti di tolleranza” del Corano, preferiamo rispondere con le parole di un notissimo commentatore ufficiale del Corano, ‘Ibn Katir (1301-1372), che ha voluto chiarire uno di quei famosi versetti “pacifisti”: “E [a] quel grido [del Profeta]: “O Signore! Questo è un popolo che non crede!”, [risponderà Allah]: “Allontanati da loro e dì: ‘Pace’. Presto sapranno” (Corano LIII, 88-89). Questa la sua spiegazione all’ultima parte del versetto: “Presto sapranno. Si tratta di un avvertimento che Allah rivolge loro. La Sua punizione, che l’uomo non può schivare, li colpirà; la Sua religione e la Sua parola regneranno supremi. Il jihad e la lotta saranno perciò un nostro dovere finché gli uomini non si convertiranno in massa alla religione di Allah e l’islam non si propagherà a Oriente e a Occidente”. 

Ogni commento sembra davvero inutile. Eppure resta il disagio di un silenzio pavido e imprudente al contempo: nella nostra autoindulgenza stiamo prestando, irreparabilmente, il fianco più importante.