Quella nota stonata in Parlamento
14 Luglio 2011
Fin dai tempi di Azzeccagarbugli, c’è un tipo di avvocato che sta sul gozzo agli italiani. Ma ci vorrebbe un nuovo Manzoni per descrivere la specie professionale che ha proliferato in questi anni, anche a danno dei tanti colleghi che fanno solo e bene il loro mestiere: l’avvocato-parlamentare. Arruolati in gran numero in aule legislative che si occupano troppo di processi e di imputati, non paghi di poter scrivere leggi sulle cause che difendono e di essere perciò beneficiati da parcelle di sogno, i principi del foro che militano nel Pdl si sono a poco a poco trasformati in un vero e proprio partito nel partito. Al punto che ieri, mentre tutta Europa, i mercati internazionali, il Quirinale, Palazzo Chigi e il Parlamento senza distinzioni di schieramento chiedevano all’unisono una prova di serietà nazionale con l’approvazione rapida e senza giochetti della manovra finanziaria, eccoli balzare su a minacciare di far cadere il loro governo – e con esso il loro Paese – se dal decreto non saltano le norme di liberalizzazione che minacciano di abolire l’Ordine. Ottenendone ovviamente la "riscrittura".
Naturalmente tutti hanno diritto a difendere i propri interessi: gli avvocati come i notai, i pensionati come gli operai. Solo che mentre queste due ultime categorie non sono rappresentate in Parlamento, le prime due sì, e anche abbondantemente. E dunque usano il proprio mandato elettorale per proteggere il loro interesse di categoria. Il che invece è del tutto illegittimo. Secondo la nostra Costituzione, infatti, gli eletti in Parlamento rappresentano la nazione, non l’Ordine cui sono iscritti. E il ministro La Russa, che prima che ministro della Repubblica si sente avvocato e dunque li difende, su quella Costituzione ha addirittura giurato.
Già l’avvocato-parlamentare gode di un privilegio che – ha di recente ricordato Franzo Grande Stevens – andrebbe eliminato come in altri Paesi: e cioè può continuare a esercitare anche durante il mandato, cumulando reddito a indennità, e anzi incrementando clientela e affari grazie al fatto di essere "onorevole", mentre accademici e magistrati almeno devono andare in aspettativa. Ma la prova di arroganza fornita ieri nel mezzo di una tempesta che minaccia i ben più miseri stipendi e risparmi di milioni di italiani resterà negli annali della Repubblica, anche perché suona la carica di tutti i corporativismi che hanno fin qui ricattato le maggioranze parlamentari di turno per impedire i processi di liberalizzazione delle professioni.
Eppure, nonostante tutto, c’è stato ieri qualcuno che ha dato una prova peggiore degli avvocati-parlamentari: e sono i sindaci e i presidenti di Provincia-parlamentari, una quindicina a Montecitorio, che hanno minacciato analogo disastro nazionale pur di non perdere il diritto al cumulo delle cariche e degli emolumenti. Il giorno che ci verrà restituito il diritto di sceglierci i nostri parlamentari, dovremo ricordarci di questo 13 luglio del 2011.
(Tratto da Il Corriere della Sera)