Quella piccola breccia nella Cortina di Ferro che fece crollare il Muro
09 Novembre 2009
Erich Honecker non poteva sapere che avrebbe presieduto al suo ultimo Primo maggio. Era il 1 maggio 1989 e l’anziano reggente della Repubblica Democratica Tedesca si trovava a Berlino Est, in piedi sul palco d’onore, davanti ad un oceano di soldati in marcia e giovani comunisti che sventolavano bandiere a festa. Il sole splendeva alto, e una morbida brezza scompigliava la soffice lanugine di capelli bianchi del padre della Patria. Tutti i regimi nel blocco comunista stavano tenendo il loro annuale saluto al marxismo e alla sua forza militare. Ma stava arrivando un vento che di lì a poco avrebbe spazzato via quell’impero.
Nei mesi seguenti si sarebbe celebrato ogni tipo di commemorazione sulla fine del comunismo, e in particolar modo sulla caduta del Muro di Berlino nel novembre del 1989. Per gli americani fu un momento glorioso, emblematico della vittoria dell’Occidente nella Guerra fredda. Ma chi ha osservato lo sgretolamento del blocco orientale sul campo, come ho fatto io, sa che il processo fu molto più lungo e complesso di quello che crede molta gente. La maggior parte degli storici contemporanei dedica scarsa attenzione all’audace trama che ha mise in moto quegli eventi e che alla fine avrebbe ridisegnato la mappa dell’Europa.
Mentre Honecker si divertiva in un Primo maggio senza nuvole, Miklos Nemeth camminava a fatica sotto una pioggia cupa a 400 miglia di distanza, a Budapest. In risposta ad un crescente malcontento, i comunisti ungheresi avevano cancellato la solita parata sostituendola con un “picnic del popolo”. Come Primo Ministro, Nemeth non poteva far altro che partecipare all’evento – e gli toccò la parte della persona sgradita. L’economista dallo spirito riformatore rimase fermo sotto una fredda pioggerella ad ascoltare il capo del partito comunista, l’ex tipografo Karoly Grosz, rimproverarlo per le sue politiche progressiste. Nemeth, disse Grosz in tono critico, aveva intenzione di demolire il Paese a colpi di democrazia e libere elezioni, capitalismo e libero mercato. Grosz non fece altro che dargli addosso, ricorderà Nemeth più tardi. “Oggi sarà pure il tuo giorno – disse il Primo Ministro al capo del partito mentre si stavano allontanando – ma il mio non è lontano!”
Stava dicendo la verità. Il giorno seguente, il 2 maggio, Nemeth e il suo Governo fecero una cosa impensabile: aprirono una breccia nella Cortina di ferro. Nemeth e la sua squadra riformista l’avevano pianificato da mesi, almeno da quando erano entrati in carica nel dicembre del 1988. Giorni prima, avevano invitato i media internazionali al confine con l’Austria per un “evento speciale”. E lì, ripresi dalle telecamere televisive, avevano bollato come un “anacronismo” la recinzione elettrica che correva lungo il confine. Soldati ungheresi con enormi pinze tranciarono una distesa di filo spinato che per quattro decenni aveva diviso il blocco orientale dal campo occidentale. “Ma cosa hanno in mente di fare quegli ungheresi!”, urlò Honecker in una riunione del Politburo il mattino seguente. La risposta era ovvia.
Nel giro di qualche settimana, i tedeschi dell’est sarebbero andati in vacanza, e l’Ungheria sembrava una delle loro mete preferite. L’economia “in salsa gulasch” ungherese, mischiando pianificazione industriale marxista con un certo grado di libera impresa, offriva merce quasi introvabile nel grigio blocco sovietico: bei ristoranti, cibo in abbondanza e buon vino. Per Honecker, la notizia fu un incubo che lo riportava dritto al 1961, l’anno in cui il Muro di Berlino era stato costruito per impedire ai tedeschi della RDT di scappare verso ovest. La mossa di Nemeth suonò come un palese invito rivolto ai tedeschi orientali a dirigersi a sud “in vacanza” – per poi raggiungere l’Ovest attraverso la frontiera ungherese che ormai era stata aperta.
E proprio questo è ciò che accadde. Durante tutta l’estate, una crescente moltitudine di tedeschi dell’est lasciarono il loro Paese. In giugno, gli ungheresi ripeterono la cerimonia del taglio della recinzione; questa volta protagonisti furono i Ministri degli Esteri di Austria e Ungheria. I cospiratori si mossero segretamente tra Vienna e Bonn, andando a consultarsi con il Cancelliere tedesco Helmut Kohl e altri politici sui passi successivi. Il 19 agosto ci fu un incontro ribattezzato “il picnic paneuropeo”, durante il quale centinaia di turisti provenienti dalla RTD passarono la frontiera attraverso una nuova breccia nella recinzione. Il mese successivo, gli ungheresi la smisero con i giochetti e aprirono le barriere. Newsweek intitolò “The Great Escape” (la grande fuga): un esodo di massa che avrebbe preparato la scena alla caduta del Muro di Berlino.
Vent’anni dopo, rimango confuso. “Non lo avevamo per nulla previsto”, confessano molti esperti. Eppure i segnali c’erano, dal Primo maggio in poi, chiari come il rumore provocato dal distacco di una massa di neve prima di una valanga. La Guerra fredda era durata così a lungo che il cambiamento sembrava inconcepibile. Ma la libertà, alla fine, irruppe come un fiore.
Michael Meyer era il responsabile capo dello staff di NEWSWEEK in Germania ed Europa Orientale nel 1989. Questo articolo è un estratto del libro "The Year That Changed the World" che sarà pubblicato a Settembre da Scribner/Simon & Schuster.
Tratto da Newsweek
Traduzione di Emanuele Schibotto