Quella tendenza al riformismo conservatore che può cambiare l’Italia
08 Giugno 2014
C’è una Italia che può sposarsi, che ha una casa e un lavoro, che per meriti personali o acquisiti può darsi un "progetto di vita", ma c’è anche una Italia che vive nella incertezza, che vede il matrimonio col binocolo dovendo prima risolvere il problema dell’affitto da pagare. E’ la classe media che oggi si impoverisce inesorabilmente. Per molti di noi l’obiettivo non sembra più il miglioramento delle condizioni di vita ma la resistenza quotidiana per non perdere il poco di buono costruito studiando e facendosi una professione.
Le forze politiche che promuovono la tendenza ad un riformismo conservatore, non neutrale, convinte che il nostro Paese debba aprirsi maggiormente al mercato, hanno l’obbligo e il dovere di dare voce e rappresentanza alla Italia che combatte senza paracadute, senza garanzie, con le sue sole forze.
Del resto ciò che abbiamo capito negli ultimi anni è che il grande problema dell’Italia, e non solo, risiede nelle politiche economiche: il vangelo neoliberista appare ormai insufficiente a dare delle risposte adeguate ai cambiamenti contemporanei, per non dire delle ricette di una sinistra progressista solo a parole. I neoconservatori devono offrire un nuovo set di politiche e di slogan elettorali che risponda alle ansie della classe media e alle paure della working class, prima che l’inquietudine strabordi finendo per corrodere anche l’area della ricchezza consolidata.
Il capitalismo non produce diseguaglianze di per sé ma occorre riconoscere che ristagna ormai da tempo e che la mobilità, il vecchio "ascensore", si è bloccata, producendo una crescente crisi sociale: meno matrimoni, un indebolimento dei vecchi legami familiari e comunitari, una minore partecipazione dell’individuo al progresso della nazione. Bisogna rendere più facile il dare e trovare lavoro, rimettere in moto l’ascensore, rendere la vita familiare una scommessa degna di essere vissuta. Con quali politiche?
Una riforma fiscale che attraverso deduzioni e riduzioni delle tasse favorisca non solo il lavoro dipendente ma anche il mondo delle libere professioni, le partite Iva e gli artigiani, le famiglie con figli, chi non ha le pensioni d’oro e non avrà neanche le pensioni di bronzo. Riformare il welfare: l’esplosione dei costi dei servizi sociali ormai divora qualsiasi altra forma di spesa, impedisce di ridurre veramente le tasse e finisce spesso e volentieri per favorire i garantiti generando effetti perversi per i più poveri.
Bisogna anche mettere mano a una riforma della immigrazione che ci permetta di attrarre manodopera più qualificata, trasformandola in una risorsa per reggere il welfare, con il suo lavoro e con le sue tasse. Senza uscire dall’euro, dobbiamo trovare una terza via tra la risorgenza degli stimoli economici di stampo keinesiano e l’ideologia della austerity. Tutto questo e molto altro.
Serve insomma una grande iniziativa per ridare sicurezza al Paese, nel mercato del lavoro e nei sistemi di protezione sociale, quale condizione preventiva per tornare a crescere.