Quella universitaria è la vera riforma di ‘sistema’ fatta in questa legislatura

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Quella universitaria è la vera riforma di ‘sistema’ fatta in questa legislatura

03 Dicembre 2010

La sola riforma “di sistema” fatta in questa legislatura è la riforma universitaria. Dovrebbero esserne consapevoli anche coloro che l’hanno pregiudizialmente avversata usandola come pretesto per mettere in difficoltà la maggioranza ed il governo che, nonostante tutto, hanno reagito benissimo alle provocazioni parlamentari ed alle mobilitazioni di piazza offrendo l’immagine di una solidità sulla quale non tutti erano pronti a scommettere.

Sul merito della riforma c’è poco da aggiungere al molto che è stato detto e scritto nelle scorse settimane. Il principio meritocratico che l’ha ispirata è innegabile. La trasparenza nei concorsi, la fine delle baronie, bilanci virtuosi e stanziamenti non indifferenti (visto il momento critico: in Gran Bretagna i tagli di Cameron sono stati durissimi, checché ne dica la sinistra nostrana che continua ad abbagliare i suoi pochi adepti con il miraggio di paradisi culturali che non esistono in Europa) qualificano un provvedimento che era da tempo atteso e che se non risolve tutti i problemi accumulatisi per decenni, certo segna un’inversione di marcia sia per quanto riguarda il reclutamento dei professori che per ciò che concerne l’assetto dei ricercatori ed i limiti temporali nel ricoprire la carica di rettore.

Per gli studenti la situazione dovrebbe migliorare sensibilmente accentuando il merito e selezionando con criteri di valutazione più oggettivi coloro i quali volessero intraprendere la carriera universitaria. Più risorse poi agli atenei “virtuosi”, che cioè sanno spendere piuttosto che sperperare, avrebbero dovuto convincere perfino i più riottosi a riconoscere al ministro Gelmini se non altro la riuscita in un campo dove suoi predecessori si sono impantanati. Ma pretendere questo da una sinistra povera d’idea e dedita alla pratica di demagogiche e ridicole spettacolarizzazioni che chiamano “opposizione” – quella di salire sul tetto poteva venire soltanto ad un Bersani qualsiasi – mi rendo conto che è troppo.

I tanti buoni motivi che legittimano la riforma universitaria, sempre migliorabile comunque, come la stessa titolare del dicastero ha tenuto ha precisare, avrebbero consigliato, a giudizio del Maldestro, di proseguirne l’esame al Senato. In attesa della fatidica data del 14 dicembre è stato ritenuto anche dalla maggioranza di soprassedere correndo il rischio concreto che se le condizioni politiche dovessero peggiorare, la legge verrà inesorabilmente buttata a mare e con essa due anni di lavoro difficilmente recuperabili in tempo utile. Nella migliore delle ipotesi bisognerebbe cominciare daccapo se la legislatura dovesse essere troncata.

Si dice che sia stata presa la decisone più opportuna al fine di evitare ulteriori lacerazioni. Sarà. Mi domando, tuttavia, chi si gioverà della fermata obbligatoria se non la sinistra che ha tutto l’interesse politico a far fallire una riforma che ha osteggiato per potersi proporre come antagonista della maggioranza e guadagnare la luce dei riflettori per qualche giorno, illuminando anche una piazza sinistra, gremita di scalmanati che con l’università, l’istruzione, la cultura, la ricerca poco o niente ha a che fare.

Sono dell’avviso, probabilmente sbagliando, che in talune circostanze bisogna sempre e comunque osare. Credete forse che la sinistra ed i suoi ascari centristi saranno grati al centrodestro per “l’alto senso di responsabilità” mostrato? Neppure per sogno. Avevano la necessità di prendere tempo e dimostrare un protagonismo che in altro modo non avrebbero potuto esibire: hanno raggiunto entrambi gli obiettivi. E c’è qualcuno che nella maggioranza, non senza ragione, si chiede se non era il caso di attendere la fine della pochade politica prima di far approdare in Parlamento la riforma per non sprecarla e sciuparla nel contesto melmoso nel quale la politica è immersa.

Cosa fatta capo ha, comunque. Non ha senso piangere sul latte versato, mentre ci si concentra sull’appuntamento fatale. Ma poi, fatale per chi? Per la sinistra, per il terzo polo, per i ribaltonisti di tutti i colori e soprattutto per le new entry in questo esclusivo club i quali, da parvenu quali sono, ambiscono perfino a guidare la rivolta contro coloro con cui hanno condiviso sedici anni di esperienze politiche. Indecente.

Comunque vada, per gli avventurieri difficilmente ci sarà posto nel domani politico. Le ombre si agitano soltanto al crepuscolo ed animano l’obliqua luce che le avvolge. Poi, quando si fa chiaro, spariscono senza lasciare traccia. La politica è crudele più di quanto si immagini. Peccato che soprattutto chi ha combattuto una vita per farsi riconoscere da chi li voleva per sempre nelle fogne, oggi si appaghi degli affettuosi ammiccamenti dei nemici di ieri, “superiori” per decreto non scritto. La crudeltà spesso si sposa con la stupidità. Non tutti lo hanno capito nel Palazzo. Ma neppure fuori di esso: quei ragazzi, per esempio, mobilitati a difesa del nulla, che hanno messo a ferro e fuoco le piazze d’Italia contro la riforma universitaria, quando si accorgeranno di essere stati offesi nella loro dignità sarà troppo tardi.