Quella volta che “Rabbit” vinse la sua prima sfida con i rapper neri
12 Giugno 2009
Rabbit è sul palco del Three One Three. Muto. Quando invece dovrebbe rappare su una fottuta base di Dr. Dre che mi sta spaccando la testa. La gente ha cominciato a fischiare, ma dalla sua bocca non esce ancora niente. Ha le ginocchia molli, braccia pesanti, mani sudate. Non si ricorda una fottuta parola, eppure se le era scritte ieri proprio apposta.
I negracci come me gli danno del bianco cagasotto.
È molto nervoso, lo so, lo conosco bene, ma da fuori sembra calmo e pronto a sganciare bombe su bombe su tutti i fratelli. Si sta strozzando, si sente un clown a un funerale.
Il tempo scade, time out. Finito. Si torna alla realtà. “Guardate quel poveraccio di Rabbit!” se la ride la gente.
Rabbit lascia il microfono a Future, gli altri di stucco e gli insulti a rimbombare nella sala. Rientra.
Ma che cazzo mi è successo?
Perché non ho cantato?
Perché non mi è uscito fuori niente?
Era una vita che aspettavo questo momento.
Sono nel sudicio camerino del Three One Three. Qui fuori si decide la sorte dei più importanti rapper della città, e del paese.
E io, che è tutta la vita che aspetto questo momento, non ho aperto bocca.
Anzi.
Vorrei addirittura non essere qui ma altrove.
Da qualsiasi altra parte, ora che ci penso.
Sull’Ambassador Bridge, per esempio, per buttarmi giù.
Sarebbe sicuramente più facile suicidarsi che esibirsi davanti a questa folla di negri.
Ma è qui che si decide la sorte, e non posso tirarmi indietro, né permettermi di fallire.
È troppo importante per me, per la mia famiglia, per Hailie.
Non capita tutti i giorni un’occasione del genere, e non la posso sprecare.
Eppure non riesco a stare in piedi, ho una paura fottuta e mi tremano le gambe, e le mani.
Ho i conati di vomito.
Ma che dovrei vomitare, è da ieri che non mangio?
Penso alle risse e agli insulti che ho dovuto masticare per arrivare qui, alle botte prese, a quelle date, che alla fine sono identiche. Sempre uno schifo. E non voglio arrendermi proprio ora, proprio qui. Questo è il mio momento, e lo devo cogliere.
Vado davanti allo specchio e vedo un pulcino bagnato.
Mi guardo negli occhi.
Ma che cazzo ti succede. Eh?
Sei così vigliacco?
E al tuo lavoro non ci pensi più?
Vuoi continuare ad alzarti tutte le mattine alle quattro per andare in quella cazzo di fabbrica sottopagato?
Dove pensi di arrivare con quattrocento dollari al mese? Me lo dici?
E tua madre? Quante volte la vuoi raccogliere ancora per strada strafatta e scaricata da qualche cazzo di ubriacone drogato per riportarla in quella merda di prefabbricato?
Eh?
Vigliacco!
Fai vedere chi sei a quei bastardi là fuori, dimostra chi è B. Rabbit.
You can do anything you set your mind to, man.
La gente aspetta, cinque dieci minuti, e Rabbit alla fine riesce. Ma con un’altra marcia.
Ha una faccia diversa, come illuminata.
Cammina piano, sorride.
La gente non capisce.
Eccolo finalmente, questo è il Rabbit che conosco!
Sul palco adesso c’è solo Future che sta chiamando Doggy, quello dei Free World. "Fuck the Free World pensa lui". La finale era proprio Rabbit contro Doggy.
Il cane contro il coniglio.
Certo ora Rabbit parte svantaggiato.
I due su avvicinano e si guardano negli occhi.
Future stavolta assegna un minuto invece dei soliti quarantacinque secondi.
Rabbit perde a testa o croce, e Doggy decide che farà iniziare il suo rivale.
Ovvio, lo aveva sentito distruggere tutti gli altri rappando per secondo.
“Parte il coniglio”.
Il negraccio sul palco lo insulta ma lui la prende a ridere, e quando finalmente gli passa la parola lo distrugge.
La base vola e lui già si sente che ci andrà a nozze.
Quel figlio di puttana di un bianco tatuato che si inventa? Siccome queste battaglie si vincono insultando l’altro nel modo più fico, lui si mette a insultare se stesso e spara un rap del genere: “Sì / Sono un bianco del cazzo e vivo con mia madre in un Trailer / E quando torno a casa la becco mentre chiava con Paul Sweater / Intanto Hailie dorme sola nella culla / Niente soldi per pagare l’affitto e tra due giorni ci sbattono per strada / Il mio amico si è sparato in una palla e l’ho portato in ospedale nel Montana / La mia ragazza si è fatta uno dei vostri / E allora? / Dai Doggy adesso di’ qualcosa di me che questa gente non sa ancora”.
Sono bombe le sue, e sono in rima.
E che rima al veleno.
Nessuno aveva mai annientato il rivale.
Applausi. E Doggy resta di stucco. Non ci prova nemmeno a rispondere.
Incredibile, un bianco ha espugnato il Three One Three.
Si gira verso di me, le braccia alzate.
In fondo sono io che l’ho trascinato in questa merda.
Si batte il pugno sul petto, mi indica: "Se avessi un solo colpo, una sola opportunità per prenderti tutto quello che hai sempre voluto, ci punteresti, o la lasceresti andare?".