Quelle dieci mosse che permetterebbero al Pdl di rinascere
30 Gennaio 2012
Ripubblichiamo volentieri un commento lasciato da un nostro lettore nel quadro dell’iniziativa dell’Occidentale, YouCut.
Egregio Direttore,
il PDL, parlandone da vivo, ha una sola chance di vittoria, alle prossime elezioni. Deve liberarsi di un peso e assumersene un altro, ben più gravoso. Il fardello da lasciarsi alle spalle (absit iniuria verbis) è Silvio Berlusconi. il quale ha terminato oramai la sua gagliarda parabola politica. Ha tentato di riformare il paese e, per vari motivi, non ci è riuscito. Il Cavaliere ha sbagliato infine i tempi del suo passo indietro, procrastinandolo di quel tanto che gli ha impedito di regalare a tutti, sostenitori e detrattori, la memoria di un beau geste eccezionale quanto più non necessitato, invece della malinconica sensazione di una cacciata subita dai lanzichenecchi d’oltre confine (ed intra moenia). Pazienza. Va però detto che forse, di tutta la sua storia di politico di successo, questo periodo di mezzo esilio dal governo rappresenta umanamente ma anche politicamente un dignitosissimo canto del cigno, maxime se comparato agli sguaiati lai del suo ex alleato, Bossi.
Tuttavia, il Pdl deve sapersi far carico dell’eredità buona del berlusconismo, di quella vis a tergo liberale ai limiti della follia che gli era stata di fenomenale propulsione agli esordi della famigerata discesa in campo. Il partito deve approfittare di questa crisi sistemica, analizzandone i reali motivi. Che non sono il degenerare del capitalismo finanziario (per certi versi innegabile), o gli interessi forti dei nostri concorrenti internazionali (idem), o la crisi dei titoli spazzatura americani di qualche anno fa. Perché alla radice dei foschi scenari economici internazionali presenti e prossimi, sta la Weltanschauung progressista, in tutte le sue sfumature. Ha fallito la concezione liberal dei diritti positivi elargiti a pioggia a spese dello Stato a ogni gruppo abbastanza forte da rappresentare un succoso bacino elettorale anche solo potenziale. Un sistema possibile solo in sistema di democrazie ‘protette’ dall’esterno dall’arretratezza economica e tecnologica di tre quarti buoni del pianeta. Ma in un sistema realmente globale come quello odierno, con paesi in competizione sulla produzione di bene uguali (o simili) ma a costi del tutto differenti, il welfare state, per come lo abbiamo conosciuto, non ha più ragion d’essere, e la sue persistenza trasformerebbe le stesse gravi turbolenze economiche che ha creato in tempeste senza ritorno.
Ciò non significa che dobbiamo ritornare alla guerra di tutti contro tutti, e dimenticarci un secolo di conquiste importanti. Significa che la cultura, persino il senso comune dell’uomo della strada debbono andare in una direzione diversa da quella cui siamo abituati. Un partito come il Pdl ha il dovere di immettere nel dibattito culturale e politico una visione differente da quella consolidata in sessant’anni abbondanti di Prima e Seconda Repubblica. Serve una Rivoluzione Copernicana.
Lo stato deve diventare il più possibile un ente sussidiario. Rispetto alle regioni. E le regioni rispetto i comuni (le province vanno sic et simpliciter abolite). E i comuni rispetto ai cittadini.
Il vero motore di ripartenza siamo noi. Lo stato deve semplicemente smettere di tarpare le ali a chi pensi di poter assicurare servizi migliori ai cittadini a costi competitivi, pur garantendoli nei campi in cui non sia economicamente ragionevole che a farsene carico siano i privati. Un esempio tra i tanti. Le linee bus devono coprire anche quartieri a scarso livello abitativo. Il comune è lì anche per questo. Ma non ha senso impedire che, nelle linee in cui i mezzi pubblici sono pieni come sardine e non passano con sufficiente frequenza, compagnie private possano offrire gli stessi servizi a costi di mercato. Gli autisti pubblici in esubero troverebbero facilmente posto nelle compagnie private, bisognose di personale con esperienza.
In concreto, il programma del Pdl dovrebbe consistere in dieci punti.
Mi scuso per la necessaria schematicità (che grida vendetta soprattutto per il punto 10, ma per ora credo sia sufficiente un abbozzo al volo).
1) L’Italia è una Repubblica fondata sul merito e sulla responsabilità. Ogni servizio pubblico fornito ai cittadini, scuola compresa, deve aver un valore monetizzabile, calcolando il costo pro capite. Il cittadino potrà scegliere a chi rivolgersi, spendendo dove vuole il proprio bonus (così anche i meno abbienti potranno mandare i propri figli a istituti privati rinomati, o viceversa i rampolli delle famiglie bene frequenteranno le scuole pubbliche se queste, grazie alla competizione, dimostreranno di essere all’avanguardia. Ma il merito non esclude il bisogno. Gli ospedali pubblici continueranno il loro servizio gratuito, con alcuni distinguo. Al pronto soccorso qualsiasi intervento comporterà una spesa, da irrisoria a interamente da pagare a seconda del reddito del cittadino. Informatizzando il sistema burocratico, presentando il codice fiscale il computer in pochi secondi potrà identificare la fascia di reddito del paziente. Farsi ingessare la gamba, o fare una tac, non può avere lo stesso costo per un operaio o per un magnate della finanza. Chi non ha problemi economici deve rifondere completamente i costi dello stato quando questo si prenda cura di lui a un prezzo comunque molto più conveniente di un medico privato (in questo modo scenderanno anche le tariffe dei privati, che diventeranno perciò appetibili anche per i pazienti dai redditi non elevati). Per lo stesso motivo, in maniera simile accadrà per gli interventi ospedalieri. In caso di incidente stradale, le spese ospedaliere saranno interamente addebitate alla compagnia di chi ha causato l’incidente.
2) L’Italia è una Repubblica fondata sulla dignità del lavoro, di ogni lavoro. Questo significa che non può esistere più la mentalità del posto a vita. Il licenziamento deve essere reso semplice anche nel pubblico impiego. Perché, similmente al modello danese, lo stato penserà a sovvenzionare il disoccupato (per un periodo limitato di tempo) e a riqualificarlo, smettendo di incentivare la cassa integrazione. Anche la formazione sarà fatta in competizione da corsi statali o privati, al medesimo costo.
3) L’Italia è una Repubblica fondata sul diritto. Sulla certezza del diritto. Ciò significa che urge una riforma della giustizia che renda il potere giudiziario un potere davvero autorevole, perché neutro ed efficace. Per il primo punto, appare chiaro che i pm debbono essere altro dai giudici giudicanti, e che non possa esserci intercambiabilità dei ruoli. E che i processi in cui i giudici sono parte in causa (nei quali statisticamente fino ad oggi il giudice ‘parte’ riceve ragione in una percentuale di volte imbarazzante), il processo deve essere condotto da una categoria di giudici a parte, ad hoc istituita e che segua una carriera a parte e mai convergente). Per il secondo, la riforma dei tempi della giustizia non può prescindere dall’esperienza dei tribunali migliori. Bisogna elaborare un modello standard tarato sui tribunali più efficienti, che esistono davvero, ed imporlo ex lege ad ogni ufficio.
4) L’Italia è una Repubblica fondata sull’efficienza. Similmente al punto 3, urge una riforma della burocrazia. Il nome stesso di burocrate deve divenire sinonimo di scrupoloso funzionario di stato di stampo austroungarico, non di scansafatiche scaldasedie dai contorni borbonici. Come? Ogni riforma proposta ha sempre avuto il vizio di partire dall’alto. Ma in ogni ufficio, anche in quelli privati, si sa che gli sprechi di tempo e di risorse maggiori sono frutto della combinazione di una miriade di microfattori che solo chi negli uffici lavora può conoscere. Va bandito un concorso affinché le migliori idee vengano fuori ‘da dentro’, premiando e incentivando i dipendenti pubblici e lasciando ai migliori di loro la possibilità di individuare le pecche del sistema e di proporre le soluzioni. Questo comporterebbe anche la responsabilizzazione di una categoria di lavoratori spesso (bi)trattati come carne da poltrona anche al di là dei propri demeriti. Invece, in questo modo vengono coinvolti nella rivoluzione burocratica.
5) L’Italia è una Repubblica fondata sulla Politica. I parlamentari non devono essere pagati poco, tutt’altro. Ma il loro stipendio sarà un tetto da cui andranno scalate tutte le assenze ingiustificate (cioè il 99% delle assenze), fino a zero. I magistrati non possono essere eletti, perché chi decide della libertà o delle risorse dei singoli cittadini deve essere come la moglie di Cesare, cioè al di sopra di ogni sospetto. Un magistrato che si candida getta una luce sinistra sul suo operato precedente. Il parlamentare non ha vincoli temporali di mandato, ma la sua funzione è incompatibile con qualsiasi altra attività pubblica o privata.
6) L’Italia è una Repubblica fondata sull’informazione libera e concorrente. Una sola rete è sufficiente per la televisione pubblica. Le altre possono essere vendute. L’Ordine dei giornalisti è abolito. Le concentrazioni editoriali debbono essere rese impossibili.
7) L’Italia è una Repubblica fondata sulla cultura. L’università deve sfornare le classi dirigenti di domani. Le tasse universitarie debbono essere alzate fino ad arrivare almeno alla media europea. Ma sotto un certo reddito, libri ed iscrizione, a fronte di una dimostrata eccellenza nelle scuole precedenti, devono essere assicurati con una borsa di studio. Le tasse universitarie oggi diminuiscono per gli studenti fuori corso, e questo fa capire molte cose del nostro paese. Al contrario, le tasse degli studenti che impiegano più tempo devono diventare progressivamente sempre più pesanti.
8) L’Italia è una Repubblica fondata sull’iniziativa dei cittadini. I Comuni devono permettere ai cittadini di risolvere da soli determinati problemi nei loro quartieri. Se un condominio, o persino un privato, provvede a colmare una buca nel selciato di fronte al palazzo (o a rimuovere vecchie ringhiere, o posizionarne di nuove, o pulire dai graffiti muri pubblici etc), le spese sostenute vanno detratte interamente dalle tasse. L’autorizzazione a svolgere qualsiasi tipo di manutenzione va data a costo zero entro un termine breve dopo il quale il progetto si intende approvato.
9) L’Italia è una Repubblica fondata sulla buona economia. E’ inutile presumere che chiunque sia benestante evada – come succede ora – nell’impossibilità acclarata di stanare i veri evasori. Aumentare le tasse deprime gli investimenti e strozza l’economia. E’ inutile favorire la nascita di nuove imprese quando non si sa a cosa serviranno, in un periodo di crescita zero, né come faranno ad acquistare i beni strumentali. Basterebbe una legge semplice. Quando il fatturato di una impresa supera quello dell’anno precedente, questa differenza è pesantemente detassata (non l’utile, che si può aumentare anche tagliando il costo del personale). In questo modo, si incentiva la creatività e lo slancio imprenditoriale e si spinge a non vivere di rendite di posizione. Allo stesso tempo, senza inutili e sterili moralismi si taglia in maniera cospicua il terreno sotto i piedi all’evasione, rendendo assai poco vantaggiosa la ricerca di sempre nuovi modi per inventarsi spese o nascondere entrate.
10) L’Italia è una Repubblica basata sul fare. Non importa la legge elettorale o la forma istituzionale. Le elezioni servono a rendere facile il ricambio dei governanti, e a permettere loro un’azione rapida ed efficace. Una legislatura può durare anche tre anni, se al partito che vince le elezioni, ovvero che ha ottenuto anche un solo voto più degli avversari, vengono concessi poteri simili a quelli del presidente degli Stati Uniti. IL capo del partito diventa Presidente del Consiglio e dirige davvero la politica del paese. Come contrappasso, il partito vincente non può nominare funzionari pubblici (né della televisione pubblica, né di organi giudiziari).
Qui mi fermo, conscio delle lacune che un decalogo scritto di getto non può necessariamente colmare o spiegare.
Cordiali saluti,
Marino Poerio