‘Quello che non ha’ Saviano è la capacità di liberarsi della retorica
15 Maggio 2012
Ha solo ventisette anni quando, nel 2007, diventa celebre in Italia e poi nel resto del mondo grazie al bestseller Gomorra. Il libro, scritto con gli occhi puntati su Napoli e Casal Di Principe, descrive sottoforma di romanzo una realtà oscura, fatta di illegalità e potere criminale, in una Campania allo sbando. A distanza di cinque anni, Saviano è diventato un personaggio televisivo, capace di calamitare su di sé l’attenzione di media e opinione pubblica. Anno dopo anno, è riuscito a mettere in fila tanti monologhi in tv, qualche libro, e numerosi interventi dalle colonne di autorevoli quotidiani nazionali.
Ieri sera, il debutto di “Quello che non ho”, il nuovo programma lanciato su La7 in coppia con Fabio Fazio, ha segnato però – e forse inevitabilmente – il declino di una retorica divenuta a tratti decisamente stucchevole. Il debutto, del resto, era stato anticipato dall’editoriale al vetriolo di Giuliano Ferrara, che dalle colonne del Foglio aveva attaccato senza mezze misure lo scrittore napoletano: “Qualcuno deve pur dirlo, basta con Saviano.”
Il commento di Ferrara, accolto con indifferenza dal destinatario (“Non ho stima di lui, non rispondo”), merita invece di essere preso in considerazione e analizzato in modo critico e obiettivo. Saviano, è bene sottolinearlo, non ha stancato per la sua volontà di lottare contro la camorra e l’illegalità. Né per la sua volontà di denunciare le ingiustizie provocate da poteri forti e oscuri. Saviano, ha stancato semplicemente perché a tutto questo continua a non opporre null’altro che la denuncia fine a se stessa, proiettando peraltro all’esterno un’immagine della Campania (ma non solo) quale terra senza speranza, senza futuro e senza l’ambizione di potersi risollevare. Così non è e così non deve essere.
Ieri sera, nel salotto torinese, Saviano non si è soffermato troppo sulla sua regione concentrandosi, com’era stato annunciato ampiamente, sulla crisi economica e sui suicidi. Non ha fatto una grinza il suo voler considerare come “eroi” gli imprenditori e i lavoratori “strozzati dai ritardi nei pagamenti, e “costretti ad indebitarsi e a confrontarsi con le banche, che poi chiudono i rubinetti”. Tutto vero. Ma tutto ampiamente ribadito e ripreso ogni giorno da quotidiani, Tg, e da frotte di giornalisti altrettanto impegnati ma certo meno celebri e osannati del trentaduenne napoletano. Lo studio di “Quello che non ho”, invece, si è riempito di un’atmosfera di solennità, quasi come se tutti fossero in attesa di ascoltare l’oracolo. In realtà, come era prevedibile, neanche Saviano ha saputo trovare la soluzione ad una crisi del genere: “Aprire sportelli dove la gente possa rivolgersi per capire come affrontare il debito, le tasse, il denaro per pagarle”, dice appellandosi al governo. Sta tutta qui la ricetta dell’autore di Gomorra. Come se qualche consulenza, per quanto utile, potesse bastare a risolvere alla radice un problema talmente complesso.
Ecco, allora, che ritornano alla mente le parole di Ferrara, che vanno lette ed interpretate proprio in questo senso. Saviano non è uno da condannare. E’ pur sempre un personaggio positivo, che si impegna per l’affermazione della legalità. Per di più , gli va riconosciuto il merito di aver avvicinato alla lettura tanti giovani, soprattutto napoletani. Il problema è che servirebbe -senza peccare di presunzione – eliminare un po’ di quella retorica moralizzatrice di cui Saviano si è fatto portavoce. Non lo diciamo solo noi. Il giorno dopo lo show si sprecano su Twitter i commenti sui due lunghi (lunghissimi) interventi dell’autore napoletano. Tanti elogi come al solito, ma seguendo l’hastag “#qcchenonho” ecco che inizia a levarsi decisa anche qualche critica. Non per quello che ha detto in sé, è ovvio, ma proprio per l’eccessiva dose di retorica e banalità, della serie “Questo lo avevamo già sentito”. Appunto.