Quello che Sarkò dice  al centro-destra italiano

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Quello che Sarkò dice al centro-destra italiano

08 Maggio 2007

La vittoria di Sarkozy in Francia parla al centro-destra italiano così come la sconfitta della Royal parla al centro-sinistra. Non si tratta di  cercare analogie o similitudini, perché il gioco a trovare quelle che più convengono è iniziato da un po’ ed è già stucchevole.

Si tratta invece di trovare il tempo e la concentrazione per un’analisi fuori dal fuoco della mischia e che permetta  a chi tra i politici italiani se ne senta capace di intercettare i segnali profondi che vengono d’oltralpe.

Alla destra Sarkozy ha proposto un modello post-ideologico che incrocia modernità e tradizione in un modo nuovo e secondo una traccia che in Europa altri partiti moderati cercano affannosamente ma non trovano. E’ il punto centrale su cui si gioca il futuro della politica in Europa: trovare il modo giusto per salvaguardare le radici fondanti della storia del Continente senza incatenarlo al passato ma al contrario rendendo fertili quelle radici. Sarkozy ha capito è ha fatto capire ai francesi che si può amare e proteggere la tradizione nazionale ed europea senza per questo coltivare una politica polverosa e nostalgica. Ha fatto capire che “tradizione” non è soltanto un fatto di secoli  o millenni ma è anche ciò che di meglio si è costruito ieri, l’altroieri o il giorno prima. E questo è anche il senso moderno di essere “conservatori”,  perché conservare ciò che c’è di buono o di grande nel proprio “ieri” vale almeno tanto quanto il riformare quello che  non va nel proprio “oggi”. Ma soprattutto è indispensabile per guadare a domani.
Sarkozy ha fatto la sua corsa elettorale sul filo del rasoio dell’identità, scontando anche in Francia (ma in Italia gli sarebbe stato fatale) l’accusa di razzismo etico, per dimostrare che solo sapendo ciò che si è si possono fare i conti col futuro. Sia che si parli di welfare, di nucleare o di scontro di civiltà.

Per questo Sarkozy non ha avuto imbarazzi a dire no all’ingresso della Turchia in Europa almeno fino al giorno in cui l’Europa annacqua e rinnega le sue radici. Ed è pensando all’identità francese che il prossimo presidente ha potuto affrontare il tema dell’immigrazione e dell’integrazione non all’insegna del politicamente corretto ma dell’efficacia e dei risultati. Ed è ancora grazie al richiamo identitario che ha potuto reintrodurre nel vocabolario parole da tempo bandite, come fierezza, coraggio, autorità, rispetto, merito, morale, rompendo con il lascito sessantottino e ricollegandosi più direttamente alla tradizione gollista. E’ guardando al terreno dei valori – che sono più concreti e durevoli della grandeur  – che Sarkozy può immaginare un rapporto nuovo con gli Stati Uniti, senza soggezioni e senza tracotanza.

E il tema che in Italia spacca e dilania persone e partiti, il rapporto tra religione e spazio pubblico, tra fede e politica lui lo ha risolto spiegando i propositi del suo prossimo week end: passare qualche giorno di risposo in un convento. “E’ nei conventi – ha detto Sarkozy – che la morale laica e la morale dello spirito si sono incontrate”. E’ successo, avverte Sarkò, e può ancora succedere, persino nella laicissima Francia, che è anche “un lungo mantello di cattedrali”.

E’ facile vedere che questa traccia lasciata da Sarkozy durante la sua compagna elettorale fornisce indizi preziosi anche per il centro-destra italiano, e non banalmente sul fronte delle alleanze tra partiti e neppure su quello delle aspirazione anagrafiche. Piuttosto è un richiamo alle origini dell’esperienza post-ideologica berlusconiana del ’94, dove si vede che il centro destra è in grado di cavalcare questa fase molto meglio della sinistra, che quando prova a rinunciare all’ideologia crea il pianto degli orfani e una moltitudine di nostalgici. Il Partito Democratico è il frutto di un’intuizione di questo tipo, ma è insieme prematuro rispetto all’evoluzione partiti che lo compongono e in ritardo sulla tabella di marcia della politica del terzo millennio.

L’ultima stagione invece non è passata invano per il centro-destra che ha saputo in gran parte liberarsi dai cascami ideologici del passato e anche – ancora grazie a Berlusconi – sfuggire alla tentazione di trovarne di nuovi. Oggi la Cdl o quel che ne resta è molto meglio attrezzata a cogliere l’intuizione di Sarkozy e anche a declinarla in modi propri e peculiari.

Basterebbe che Gianfranco Fini fosse meno ondivago sui valori e più consapevole delle proprie responsabilità; basterebbe che Pierferdinando Casini facesse un po’ meno tattica e cogliesse il senso strategico della coalizione. Entrambi avrebbero la strada aperta  verso la leadership se non ne facessero solo una questione rivendicativa o di delfinaggio ma ponessero seriamente le loro carte sul tavolo della successione. Basterebbe che la Lega smettesse di piazzare all’asta il suo patrimonio federalista  un po’ di qua e un po’ di là e la finisse con le sue paure da “piccolo partito”. Basterebbe infine che Berlusconi tracciasse un percorso chiaro per Forza Italia, per la Cdl e per se stesso, non all’interno di un assedio ma con il senso di una nuova sortita.

Basterebbe ma non è poco.