Quello di Spider Truman è solo uno show
20 Luglio 2011
In pochi giorni il fantomatico “Spider Truman”, quel profilo senza volto che su Facebook minaccia di svelare uno per uno i segreti della Casta, ha collezionato 300.000 “mi piace” in una lunga e per certi versi tediosa sequela di insulti, offese e villanie contro una classe politica che se deve farsi perdonare qualcosa è proprio quella di essere lo specchio del Paese.
In Italia ormai c’è un tasso di rancore, di invidia e insoddisfazione così alto che non fa più differenza se a denunciare i privilegi della politica sono i giornalisti di professione (dal decano Stella, inventore del genere, a Mario Giordano che ha appena dato alle stampe l’ennesimo libro sulle pensioni d’oro dei parlamentari), oppure un nome senza volto, un uomo senza identità, una voce fantasma come quella di Spider Truman. Capace di raccogliere pieno consenso e un’adesione altrettanto cieca perché si fregia dell’appellativo più eroico e piagnone attualmente a disposizione sulla piazza: “precario”. Sai quanti ce ne sono di “precari” che non hanno avuto la fortuna di aver lavorato alla Camera dei Deputati e tirano avanti lo stesso, limitandosi a usare Facebook per cazzeggiare un po’. No, ormai il solo evocare quella parola(ccia) rende liberi e mette Spider dalla parte dei difensori della giustizia e della libertà.
Eppure se solo il nostro piccolo Truman avesse voluto probabilmente avrebbe trovato i modi e le sedi opportune per rivalersi di chi l’ha ingiustamente licenziato, a patto che di vero licenziamento senza giusta causa si parli e non di aver perso semplicemente il treno del tempo indeterminato. Avrebbe potuto farsi avanti, Spider, senza fanfare mediatiche e la ribalta del web, mettendoci la faccia, il proprio nome e cognome, nella speranza neanche troppo remota che un Tribunale del lavoro gli desse ragione. Invece no, ha preferito Facebook e il villano anonimato della Rete. E il popolo bue gli è andato dietro muggendo scontato e contento, senza farsi le domande che contano ma sputando sentenze.
Tutti a cliccare, tutti persi dietro cento mille battaglie virtuali e, diciamocelo pure, completamente ineffettuali: perché se davvero i trecentomila fan di Spider Truman credono davvero che si possano cambiare le cose con Facebook, se davvero “l’insoddisfazione trasversale che attraversa il Paese nei confronti della politica”, come scrive Giordano, è destinata a riversarsi unicamente sul web in una bolla di sapone informatico, se davvero i “precari” pensano di trasformare le condizioni materiali della loro vita pagando un’altra (salata) bolletta di Alice o Fastweb, beh, stiamo messi male ragazzi.
Qui non c’interessa fare una difesa d’ufficio dei parlamentari, di quanti sono, se sono troppi e vanno tagliati, qual è il loro tasso di assenteismo, se sia più giusto abolire subito le province o partire dalle circoscrizioni, poverette. Vogliamo fare piuttosto un discorso più generale sugli italiani, imboccati da una stampa bipartizan che attacca la Casta con inchieste ad orologeria.
Il Pasolini corsaro diceva che il “Palazzo” non è che una copia dell’Italia “ridicola e sinistra” in cui viviamo, dove alle maschere del potere fanno da contrappunto gli addicted dei social network, la “folla di Ferragosto” con la sua “frenesia più insolente”, che tra un tuffo e l’altro trova cinque minuti per cliccare il “mi piace” e lamentarsi col vicino di ombrellone dello schifo della politica, che magnamagna signora mia!, per poi tornare "colpevolmente incosciente" a rilassarsi sotto il sole di una domenica qualsiasi. Il poeta di Casarsa aveva capito qualcosa che noi stentiamo ancora a riconoscere, presi come siamo dall’ultimo bestseller di Stella. Che ormai solo ciò che vive dentro il Palazzo e del suo riflesso è degno di attenzione, tutto il resto è "minutaglia e brulichio".