Quello sul legittimo impedimento è un altro referendum inutile
09 Giugno 2011
Per i pasdaran dell’antiberlusconismo il referendum sul legittimo impedimento continua a rappresentare un’occasione unica per dare la tanto attesa spallata al Cavaliere, un modo per "radere al suolo", come ha spiegato Marco Travaglio, l’impianto dell’ultima, in ordine di tempo, legge "ad personam", e per riportare Berlusconi al rango di un cittadino comune. Ma da un punto di vista giuridico qualcuno sa, effettivamente, cosa voteremo abrogando il legittimo impedimento?
Per capirlo meglio occorre ripercorrere brevemente la storia di questa legge tanto contrastata quanto, oramai, priva di senso. Prima di tutto a cosa serviva: garantire uno "scudo" per le alte cariche dello Stato, il presidente del consiglio e i suoi ministri. Nelle intenzioni della maggioranza, avrebbe dovuto essere una "legge ponte", della durata di 18 mesi, prima di rimettere mano ad un neo-lodo Alfano nel contesto più generale delle riforme costituzionali. Ma della legge è rimasto ben poco, o per meglio dire nulla, dopo che la Consulta si è epressa abrogandone i passaggi più controversi: quello in cui si stabiliva la possibilità, per il premier, di attestare egli stesso l’impedimento a prendere parte ai processi, obbligando i giudici al rinvio dell’udienza, e al tempo stesso quello che toglieva ai giudici la possibilità di valutare l’impedimento stesso addotto dal presidente del consiglio.
Questa parte del testo di legge è stata giudicata incostituzionale dalla Consulta che ha ridato ai giudici il potere di decidere quando e quanto il premier e i suoi ministri siano "impediti" a presentarsi in aula. Lo stesso Travaglio ha dovuto ammettere fra i denti che la legge è stata "svuotata di senso". Quindi cosa accadrà se andremo a votare "sì" al quesito referendario, sempre nel caso in cui si raggiungesse il quorum? La legge verrà abrogata del tutto e si tornerà alla situazione precedente. E se vincesse il "no"? Si rispetterà la sentenza della Consulta, quella che ha "svuotato di senso" la legge. In un caso o nell’altro, il legittimo impedimento continuerà ad esistere, essendo già una norma presente nel nostro ordinamento giuridico.
Insomma, la questione del legittimo impedimento come previsto dal disegno di legge licenziato nel gennaio scorso dalla commissione giustizia non dovrebbe appassionare più di tanto né accendere gli animi visto che non ha più alcun risvolto pratico (c’è chi sostiene che se vincesse il "sì" il parlamento non potrebbe più legiferare in materia per un certo numero di anni, per non andare contro il voto popolare, ma secondo il deputato del PdL, Peppino Calderisi, "si tratta solo di una leggenda metropolitana"). Il problema, se mai, non è più giudiziario ma tutto politico. Con i toni più moderati che lo contraddistinguono, anche il Corriere della Sera di ieri, in un fondo sull’argomento, concludeva: "Sanato il vulnus è rimasto comunque un moncone da amputare (…). Con la consapevolezza che il ‘sì’ ha assunto un peso essenzialmente politico, sarà un altolà a un modo di legiferare in materia di giustizia che si trascina ormai da troppo tempo".
Moncone da amputare, radere al suolo, il lessico del Corrierone non sembra discostarsi troppo dai manettari della prima ora, giacchè si è visto ormai qual è l’andazzo con cui la sinistra, e il centro-sinistra, sperano di vincere le prossime elezioni. Eppure un paio d’anni fa ricordiamo le aperture di Massimo D’Alema sul testo Vietti (una delle iniziative da cui prese le mosse il ddl sul legittimo impedimento), o quelle dell’ex ministro ombra della giustizia piddino Lanfranco Tenaglia che si poneva giustamente il problema dei rapporti fra esecutivo, parlamento e potere giudiziario. La storia della sinistra italiana poi ha preso tutt’altra strada, come dimostrato dalla vittoria di De Magistris a Napoli, ma al di là del legittimo impedimento o del "Lodo Alfano" da qualche parte si dovrà pur ricominciare a discutere di come conciliare le esigenze di svolgimento dei processi con quelle che attengono allo svolgimento delle funzioni istituzionali e di governo. Tanto più che, dal Rubygate al processo Mills, il Cav. le aule di giustizia è tornato a frequentarle. E allora, al di là del referendum, perché non rievocare lo spettro (per Di Pietro & Co.) dell’immunità (l’art. 68), ripristinando un istituto giuridico previsto originariamente dalla nostra Costituzione?