“Questa riforma premia il merito e i giovani e punisce gli irresponsabili”
26 Novembre 2010
Migliorare la dimensione finanziaria dell’istruzione pubblica è il primo mattone per costruire un sistema che funzioni bene. Non ha dubbi Fabio Pammolli, docente di Economia e Managment e direttore dell’IMT ‘Institute For Advanced Studies’ di Lucca, istituto statale di alta formazione che forgia capitale umano qualificato nell’ambito dell’alta specializzazione professionale.
Nei giorni in cui il ddl Gelmini muove i passi verso l’approvazione definitiva alla Camera, le proteste s’incendiano contemporaneamente nell’Aula di Montecitorio e negli atenei, nei giornali e nei centri storici. Il motivo? Nelle Università italiane, si dice, non ci sono soldi, i lavoratori precari non sono tutelati e la meritocrazia è soltanto una remota possibilità. E con il progetto di riforma il futuro delle eccellenze italiane (secondo i manifestanti) sarebbe sul punto di piombare nell’incubo della “crescita zero”. Ma uno sguardo più attento potrebbe cambiare le carte in tavola. In una conversazione con l’Occidentale Pammolli ha parlato di crescita e sviluppo, di eccellenza e meritocrazia che continuano ad essere le parole chiave della didattica.
Pammolli ne è sicuro: migliorare la qualità della ricerca, delle performance che vengono prodotte dai laureati sul mercato del lavoro e la razionalizzazione della spesa pubblica sono i fondamenti di una valida riforma dell’Università. “Il problema italiano è quello di un sistema che ha perduto la capacità di fare scelte responsabili, di assicurare il rispetto dei vincoli di bilancio nella gestione delle risorse”. Che in poche parole vuol dire: “Non siamo abituati alla trasparenza”. Il fatto stesso che, dopo la manovra dell’agosto 2008 che ha salvato l’Italia dal dissesto finanziario, gli atenei non abbiano risposto al richiamo del rigore presentando piani industriali che provassero la volontà di contenere le spese, dimostra quanto gli istituti pubblici abbiano continuato a sperare nel soccorso statale. Ciò ha significato la rinuncia alla programmazione.
“E’ proprio quando le risorse scarseggiano che si fa la programmazione e credo che noi amministratori di atenei dovremmo essere pronti a giustificare ogni euro speso sulla base di scelte allocative chiare”. E da questo punto di vista, sostiene Pammolli, con la codifica dei piani di rientro, il ddl Gelmini fa un grande passo in avanti.
E’ proprio questo il nodo centrale del ragionamento del professore: in Italia si è sempre pensato di migliorare il sistema chiedendo più finanziamenti. Ma il problema, in realtà, non sta nella quantità di fondi, quanto nella riduzione degli sprechi. Come si fa? Si migliora la governance. Ovvero si mettono gli atenei nelle condizioni di gestire al meglio le risorse di cui dispongono, in modo che non ne chiedano di più al ministero dell’Economia. Una spinta alla responsabilità, insomma, che giustifica, ad esempio, il limite per ogni mandato dei rettori (8 anni) e la possibilità di sfiducia nei loro confronti.
Altro punto: i ricercatori. Mentre a Roma, Sassari, Trieste e Firenze i ricercatori arrabbiati passano le loro notti insonni sui tetti delle università, il professor Pammolli spiega che con la riforma il Paese avrebbe l’occasione di fare un bel passo in avanti proprio per sciogliere il nodo dei precari. “Se dobbiamo arrivare alla protezione corporativa della categoria del ricercatore allora siamo agli antipodi di quello che un ricercatore dovrebbe essere”. Lo dice chiedendosi il perché i ricercatori non abbiano mai proposto di accedere alla professione attraverso l’applicazione della ‘Carta europea dei ricercatori’, che permette una maggiore competitività su scala internazionale.
A questo punto, allora, la sfida è quella di entrare nel gioco della concorrenza stimolando il merito. Ecco il perché degli scatti stipendiali (che premiano i migliori) e l’abbassamento dell’età minima per l’assunzione da 36 a 30 anni (che premia i più giovani). Insomma, la possibilità di valutare il merito di un ricercatore, offrendo possibilità di crescita e avanzamento di carriera, è quanto sta facendo il IMT di Lucca. Tanto da valergli competitività e visibilità in campo internazionale. L’auspicio è semplice e al tempo stesso ambizioso: “creare un sistema che punisca chi non produce e premi i più meritevoli”.