Questione rifiuti, l’Europa è stanca di aspettare e chiede misure immediate
03 Ottobre 2011
Ci risiamo. L’Unione europea torna a mettere pressione all’Italia affinché trovi soluzioni efficaci a breve e lungo termine in grado di “regolare immediatamente la questione dei rifiuti in Campania”, visto che a diciassette anni dall’inizio dell’emergenza manca ancora un’adeguata rete di installazioni per lo smaltimento dei rifiuti. Mercoledì scorso, infatti, il Commissario europeo all’Ambiente, Janek Potocnik, ha deciso di passare dagli innumerevoli avvertimenti ai fatti avviando ufficialmente, tramite una lettera di costituzione in mora, una nuova procedura di infrazione contro l’Italia a causa del protrarsi di una violazione del diritto comunitario che, nel caso della Campania, risulta lesivo della salute umana e dell’ambiente. “È passato troppo tempo dal nostro primo avvertimento all’Italia sulla questione rifiuti, – afferma Potocnik – nulla è stato fatto e ora abbiamo bisogno di vedere risultati a breve termine”.
Il tempo concesso è di due mesi, entro i quali le autorità nazionali e locali dovranno presentare le proprie osservazioni in merito e conformarsi il più rapidamente possibile agli obblighi imposti dal diritto europeo. Diversamente, in caso di inadempienza, la Commissione potrà rivolgersi alla Corte di giustizia europea, che già nel marzo dello scorso anno ha condannato l’Italia per “non avere adottato tutte le misure necessarie per smaltire i rifiuti a Napoli”. Una seconda condanna comporterebbe altre, forti, sanzioni pecuniarie, visto che in linea di principio le sanzioni vengono calcolate sulle carenze di gestione passate e future. Una bocciatura del genere aggraverebbe ulteriormente, dopo la recente sospensione dei fondi strutturali, la posizione della Regione dinanzi agli occhi delle istituzioni dell’UE.
Un’immagine, quella della Campania, macchiata dalle ripetute crisi che hanno visto protagonista Napoli e altri comuni limitrofi e che hanno destato negli ultimi anni la profonda preoccupazione della Commissione europea. Già nel 2007 quest’ultima, per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione, aveva avviato, dopo una fase precontenziosa, una procedura di infrazione (in base all’ art. 258 del TFUE) contro l’Italia, contestando la violazione degli obblighi imposti dagli articoli 4 e 5 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2006/12/CE, quella relativa ai rifiuti. Nella lettera di costituzione in mora la Commissione chiedeva alle autorità italiane delucidazioni circa la concreta realizzazione di un sistema integrato ed efficiente di smaltimento dei rifiuti in Campania che potesse assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute pubblica dei cittadini di Napoli e dintorni. In quella occasione, la Commissione ribadì anche l’importanza fondamentale dell’adozione ed attuazione di un Piano di gestione rifiuti contenente misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti e che garantisse di far fronte in maniera adeguata alla situazione di emergenza (in essere già dal lontano 1994), in totale conformità con le disposizioni previste dalla Direttiva europea.
L’attuale stato dei fatti lascia poco spazio all’immaginazione su come siano andate le cose: le risposte fornite, anche alla luce dell’aggravarsi all’epoca della situazione a Napoli, non ottennero un riscontro favorevole da parte della Commissione che, in mancanza dell’adozione delle misure richieste, decise per il deferimento dell’Italia presso la Corte di giustizia europea. Lo scorso anno, come abbiamo già detto, è arrivata la condanna all’Italia per essere “venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli art. 4 e 5 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE relativa ai rifiuti”, una misura che ha obbligato le autorità italiane a scontare le relative sanzioni pecuniarie. Ora, si rischia la replica dello stesso film.
La posizione della Commissione europea, del resto, è chiara: agli Stati membri e alle autorità competenti, è garantito un potere discrezionale nella valutazione e nell’adozione di tutte le misure necessarie a far fronte all’emergenza, ma ciò non toglie che siano vincolati al raggiungimento degli obiettivi richiesti dall’UE. Se, come chiarito nelle massime della sentenza della Corte del 2010, si attesta il perpetrarsi di una situazione di emergenza a discapito dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità competenti, allora gli Stati membri perdono il loro potere discrezionale e vanno incontro a delle pesanti ripercussioni.
Nel frattempo, con una nota congiunta la Regione Campania, la Provincia e il Comune di Napoli hanno proposto l’adozione di “soluzioni comuni” per “evitare le sanzioni ed ottenere lo sblocco dei fondi comunitari necessari anche per il completamento”. Purtroppo, però, potrebbe non bastare. Nonostante la Commissione abbia riconosciuto dei leggeri progressi dopo la sentenza del 2010, è tornata tuttavia a sottolineare come gli impianti “sono ancora lontano dall’essere costruiti e i tempi forniti dalle autorità italiane sono spesso troppo vaghi”. L’Italia sconta, del resto, le numerose divergenze, esistenti tra le forze politiche ai diversi livelli amministrativi, su come risolvere l’emergenza: ciò rischia di creare una situazione di stallo e un ulteriore ritardo nella risoluzione del problema, con tutto quello che una situazione del genere può comportare. Ciò che conta agli occhi dell’Europa, al di là dei tentativi e delle buone intenzioni, è l’attuazione di misure concrete, efficaci e soprattutto immediate. E’ chiaro che il metodo usato dalla Commissione è quello del bastone e la carota. Se si continua di questo passo, però, invece delle carote rischiano di esserci per noi altre costosissime vergate.