Questo è il welfare all’italiana, bellezza!
05 Ottobre 2009
Si fa un gran parlare di riforma degli ammortizzatori sociali, soprattutto quando si rendono necessari interventi a favore dei lavoratori che perdono il lavoro nei periodi di crisi come l’attuale. Si tratta di un problema molto complesso, la cui soluzione richiede ingenti risorse. Ed è questa la principale ragione per cui, da almeno tre legislature, il Governo e il Parlamento non riescono a venire a capo della questione, nonostante i molti tentativi inutilmente svolti a questo proposito.
Eppure a voler andare al fondo delle cose si troverebbero delle sorprese o comunque delle situazioni che l’opinione pubblica ignora. Ma prima di proseguire oltre è bene tracciare il profilo dei principali istituti preposti all’integrazione e al sostegno del reddito. "Gallia omnis divisa est in partes tres", scriveva Giulio Cesare. Anche nel nostro caso possiamo individuare tre branche di tutele: quelle a cui si ha diritto in costanza di un rapporto di lavoro; quella (perché è una sola: la procedura di mobilità) che accompagna i lavoratori dallo stato di occupazione a quello di disoccupazione, favorendo il loro reinserimento nel mondo del lavoro; quelle alle quali si accede una volta che si è perso il posto di lavoro. Al primo gruppo appartengono le integrazioni salariali, nelle due specie di cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo) e cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs); al secondo gruppo, come detto, appartiene la procedura di mobilità; del terzo gruppo, infine, fanno parte le indennità di disoccupazione, nelle diverse declinazioni (ordinaria, con requisiti ridotti, speciale per l’edilizia). Abbiamo parlato di Cigo e di Cigs.
Alla prima accede l’impresa che soffra una crisi dipendente da eventi temporanei come la mancanza di commesse, eventi meteorologici straordinari e via dicendo. In questi casi, dunque, si reputa transitoria l’instabilità anche dei posti di lavoro e si ritiene certa la ripresa dell’attività produttiva normale dell’azienda. È straordinaria, invece, la cassa integrazione accordata all’azienda che deve fronteggiare processi di ristrutturazione (cambiamento di tecnologie), riorganizzazione (cambiamento dell’organizzazione aziendale), riconversione (cambiamento dell’attività) o in caso di crisi aziendale. Inoltre, l’intervento straordinario può essere richiesto anche a seguito di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria. Si capisce, dunque, che, in questi casi, si è di fronte ad eventi di una gravità maggiore, tali far temere addirittura la tenuta stessa dell’azienda. Tale gravità giustifica un periodo di concessione più lungo, rispetto alla cassa integrazione ordinaria.
L’indennità di mobilità è un ammortizzatore sociale che mira a rendere meno drammatiche ai lavoratori le conseguenze della perdita del posto di lavoro. A differenza delle integrazioni salariali (Cigo e Cigs), la mobilità non è alternativa al licenziamento, ma lo presuppone. Non consiste unicamente in un sostegno economico elargito ai lavoratori, ma anche di meccanismi che per favorirne la loro rioccupazione come, per esempio, il passaggio tra aziende (da quelle in crisi a quelle che hanno bisogno di manodopera). L’indennità di disoccupazione (Ds) risponde alla finalità di garantire, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, un aiuto economico che sostituisca il reddito da lavoro al lavoratore che sia divenuto involontariamente disoccupato. Solo i lavoratori con almeno due anni di assicurazione presso l’Inps ed almeno 52 contributi settimanali nel biennio precedente la data della risoluzione del rapporto di lavoro hanno diritto alla relativa indennità. E’ prevista poi una indennità ‘‘con requisiti ridotti’’ riconosciuta ai lavoratori che possono far valere due anni di assicurazione con almeno un contributo settimanale prima del biennio precedente la domanda e almeno 78 giornate lavorate nell’anno solare precedente.
Va ricordato che la cassa integrazione ordinaria e la disoccupazione ordinaria sono istituti previdenziali, finanziati mediante la contribuzione sociale ed erogati dall’Inps, attraverso la Gestione delle prestazioni temporanee (Gpt, che raccoglie tutta la "previdenza non pensionistica", tra cui anche l’assegno al nucleo familiare e le indennità economiche di malattia e maternità).
La Cassa integrazione straordinaria e l’indennità di mobilità fanno parte della Gias (la Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno al reddito) il cui finanziamento è a carico dello Stato, in regime di pareggio di bilancio. I lettori non ci crederanno, ma le gestioni ordinarie sono strutturalmente in attivo, nel senso che incassano con le entrate contributive più di quanto spendono erogando le prestazioni.
Tanto che, grazie anche ai saldi delle altre prestazioni, la Gpt è una delle colonne del bilancio Inps e del suo saldo attivo. Prendiamo il caso della disoccupazione ordinaria: nel 2004, la Gestione ha incassato 3.208 milioni di euro e ne ha spesi per prestazioni 1.899 milioni; nel 2005, rispettivamente 3.428 milioni e 2.073; nel 2006, 3.530 milioni in entrata a fronte di 1.984 in uscita; nel 2007, 3.713 contro 1.914. Per quanto riguarda la cassa integrazione ordinaria ve ne sono di differenti tipologie, ognuna col proprio budget. Consideriamo quella vigente nell’industria che è la più significativa. Nel 2004, sono stati raccolti contributi per 1.925 milioni di euro a fronte di una spesa di 272 milioni; nel 2005, rispettivamente 1.827 milioni in entrata e 299 in uscita; l’anno successivo rispettivamente 1.998 contro 185 milioni; nel 2007, 2.178 contro 117 milioni. Certo, il quadro subisce modifiche (rilevanti soprattutto per la disoccupazione) se nel conto si includono anche gli oneri riguardanti la contribuzione figurativa.
Complessivamente la Gpt (trattamenti di famiglia, indennità varie, ammortizzatori sociali) ha conferito al sistema Inps avanzi di esercizio pari a 6.793 milioni di euro nel 2004, 6.267 nel 2005, 6.884 nel 2006, 8.680 nel 2007. Risorse importanti delle quali non è possibile utilizzare neppure un euro visto che i saldi devono servire a tappare i buchi delle gestioni pensionistiche (segnatamente del lavoro autonomo e degli ex fondi speciali).
Questo è il welfare all’italiana! La produzione e il lavoro versano quote dei loro redditi per finanziare talune voci, ma le risorse vengono dirottate ad altri fini. Siamo pronti a sacrificare tutto e tutti, tranne che la voce pensioni.