Rai: ecco perché si deve andare oltre il Ddl Gentiloni
07 Dicembre 2007
Oltre il ddl Gentiloni. Una Rai capace di garantire un
servizio pubblico senza essere soffocata dalla morsa dei partiti. Questo in
sintesi la proposta lanciata ieri dalla tavola rotonda “Rai: l’attrazione
fatale del servizio pubblico” organizzata dalla fondazione Magna Carta ed a cui
hanno partecipato esponenti del mondo politico, del panorama universitario e
giornalistico oltre ad esperti nel campo dei sistemi televisivi.
Tema del
confronto la Rai, in questi mesi al centro di una grave crisi che evidenzia
sempre più quanto sia necessario intervenire con una riforma che rilanci il suo
ruolo. Riforma che al momento vede nel ddl Gentiloni, in discussione al Senato,
un modo per superare l’attuale regolamentazione: la Legge 112, cioè la cosiddetta
Legge Gasparri. E proprio dalla proposta dell’attuale ministro delle
Comunicazioni si è partiti per analizzare le future prospettive dell’Azienda.
Diversi
i dubbi e le incertezze sul ddl, anche dal responsabile dell’informazione del
Pd Follini che non si tira indietro nel precisare che “la proposta di riforma è
perfettibile e può essere migliorata anche se ne condivido l’impostazione”.
A
vedere con favore Follini è la creazione della Fondazione, organo formato da
vari rappresentanti del mondo politico, universitario e sociale che negli
intenti del ministro Gentiloni dovrebbe gestire l’Azienda di viale Mazzini.
“Un’intercapedine utile” la definisce l’ex vicepremier “capace di ridurre la
pressione della politica sulla Rai” ma che comunque per Follini non basta. Infatti
guarda ad una riforma che punti soprattutto ad una “semplificazione del ponte
di comando” avanzando anche l’ipotesi veltroniana di “un amministratore unico”
a cui si leghi però “una separazione funzionale sulle quote ricavate dal
canone” così da permettere la distinzione tra “i programmi finanziati dalla
pubblicità e quelli dai contribuenti”.
Ma se l’ex segretario dell’Udc considera
la fondazione un’utile strumento, Giuseppe de Vergottini, professore ordinario di Diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Bologna, è convinto che si tratti di una “soluzione barocca”
che “rischia di creare maggiore complicazione senza garantire autonomia”. Una
sudditanza della Rai nei confronti della politica che per de Vergottini è
“inevitabile” e che la fondazione non
risolverà. Anzi “l’interesse politico si decentrerà nelle altre strutture”
dimostrando che questa proposta di legge è soltanto “un libro dei sogni”.
Una
posizione che trova concorde il senatore di Forza Italia Gaetano Quagliariello
che inoltre scorge nel ddl Gentiloni un modo per creare “una costrizione meno
trasparente della Rai verso la politica”. Per il senatore azzurro si
realizzerebbe un sistema che capace di garantire “un intervento politico opaco che
alla fine si radicherà in ambiti non propri”. Ma quello che per Quagliariello è
più preoccupante è il meccanismo di composizione del CdA della fondazione previsto
dal disegno di legge e che alla fine porterà “a confondere le logiche
universitarie e quelle politiche creando un sistema politico camuffato”.
Critico nei confronti della soluzione
fondazione è anche il senatore del Pd, Franco Debenedetti, che la bolla come
“questione non seria” visto che “è ridicolo che la politica possa scomparire
dall’Azienda”. Da qui il rischio di “un’influenza meno evidente”. E non manca
nemmeno un riferimento sarcastico all’attualità: “Certamente con la fondazione
prevista da Gentiloni il sistema delle intercettazioni diventerebbe gigantesco
visto che ognuno cercherebbe di condizionare il proprio riferimento
nell’assemblea”. Sul fronte privatizzazione, invece, Debenedetti è contrario considerando
più opportuno “ripartire da zero, un modo certamente meno costoso per
rilanciarla”.
Ma il senatore democratico
avanza anche un’altra ipotesi ed è quella di “metterla sotto una campana di
vetro mantenendola così come è” fino a che non si spegnerà ed allora partire
con il rilancio dell’Azienda. Rilancio che per Mario Baccini, senatore
dell’Udc, non può vedere i partiti ai margini dell’Azienda. “Il vero problema –
spiega l’ex ministro – è che la cattiva politica ha preso il sopravvento in
Rai. Una politica sempre più leaderistica e finalizzata agli interessi dei
segretari”.
Per Baccini è indispensabile la riforma della Rai ma dopo aver
messo mano alla riforma dell’editoria in
modo che “gli editori ridiventino editori puri”. Spazio anche al tema
privatizzazione che per il vicepresidente del Senato è da fare avendo cura di
“distinguere il ruolo pubblico da quello privato” della Rai del futuro”.
Spedito
sulla via della privatizzazione c’è pure Antonio Pilati, uno dei padri
dell’attuale Legge Gasparri, convinto che “il servizio pubblico non è legato
alla proprietà”. Un esempio su tutti Mediaset che “rispetta la par condicio, meglio
della stessa Rai, e produce programmi di qualità degni di un vero servizio
pubblico”.
Nessun timore, quindi, che una privatizzazione possa mettere in
pericolo la mission dell’Azienda. E a proposito Pilati fa riferimento all’Enel
e a Poste, di recente privatizzate, che continuano a svolgere il proprio
servizio come accadeva quando era in mano pubblica.
Ma per il consigliere
dell’Antitrust quello che più deve far riflettere non è tanto l’anomalia di una
Rai fortemente influenzata dalla politica ma piuttosto “un sistema di finanziamento
che per oltre il 55 per cento è deciso dal ministro e che incide direttamente
sui bilanci”. Questa la vera anomalia dell’Azienda di viale Mazzini. E di
anomalia parla anche Enrico Manca, ex parlamentare e presidente dell’Isimm ma
riferendosi all’ipotesi di privatizzare la Rai. Il tutto guardando all’Europa
dove “si è radicato ed è stata riconosciuta l’esistenza di un sistema basato
sul dualismo pubblico-privato”.
na svolta verso i privati che per Manca significherebbe
portare “l’Italia fuori dall’Europa”. Anche lui, però, non nasconde i limiti
del ddl Gentiloni “perfettibile ma condivisibile nell’impianto” soprattutto
nella volontà di “aprire l’Azienda alla società allontanando la politica”.
Un’analisi che porta il presidente dell’Isimm a considerare la fondazione “un
elemento importante e capace di dare quell’indirizzo strategico alla Rai,
lasciando ai singoli CdA delle varie aziende collegate il ruolo di gestione”.
Guarda,
invece, al sistema delle Authority Orazio Carabini, caporedattore de “Il Sole
24ore”, per la guida di una futura Rai riformata. “Il sistema delle authority
ha finora dimostrato di funzionare meglio e di dare maggiori garanzie nella
gestione delle varie strutture”. Una proposta alternativa alla fondazione di
Gentiloni che però si lega ad un netto rifiuto di ogni ipotesi di
privatizzazione visto che “una Rai controllata dallo Stato è più tutelata”. Ipotesi
di riforma che devono anche confrontarsi con un panorama televisivo che è
cambiato come fa notare Vincenzo Zeno Zencovich professore ordinario di diritto
comparato: “In Italia abbiamo una visione errata della Tv. Oggi si riduce
l’audience delle televisioni a favore delle altre piattaforme per la fruizione
di contenuti televisivi”. Un cambiamento che non può lasciare indifferenti e
che impone di mutuare ogni riforma su questa nuova realtà “sempre più
caratterizzata da una forte convergenza tecnologica”.
Dello stesso avviso
Giuseppe Sangiorgi, passato da portavoce di De Mita e da commissario
dell’Agcom. Per lui è “necessario riformare la Rai ed il servizio pubblico”
tenendo presente che “viviamo nell’era di internet”. Cambiamenti che, quindi,
non devono lasciare indifferenti e che anzi devono ispirare quella che alla
fine risulterà come la riforma di una delle maggiori aziende italiane.
Un’azienda che anche le recenti vicende da caso Petroni a quello delle
intercettazioni hanno dimostrato di avere bisogno di rilancio e di innovazione.
Il tutto però guardando oltre il ddl Gentiloni.