Rapporti tesi tra Ue e Russia

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Rapporti tesi tra Ue e Russia

21 Maggio 2007

L’atteso vertice tra UE e Russia si è concluso con un nulla di fatto, e probabilmente non poteva essere altrimenti. Alla fine dell’incontro non è stato emesso un comunicato congiunto, né è stato fissato l’inizio dei negoziati per il rinnovo dell’accordo di partneriato in scadenza a dicembre.

Le settimane che hanno preceduto il summit hanno visto un progressivo deteriorarsi dei rapporti. La Russia da tempo blocca unilateralmente e senza validi motivi l’importazione di carni polacche, causando alla Polonia un danno stimabile in circa 400 milioni di dollari l’anno. Nei mesi scorsi, inoltre, Mosca ha spesso sospeso senza preavviso, per brevi periodi, le forniture petrolifere alla Lituania. Infine, nelle ultime settimane ha duramente attaccato l’Estonia, accusata di aver spostato in periferia la statua al militare sovietico della seconda Guerra Mondiale situata nella piazza centrale di Tallin. I server ed i siti dell’Estonia, la cui economia è fortemente trainata dall’e-commerce, sono anche finiti sotto attacco di hacker riconducibili al Cremlino.

Tale azione russa d’intimidazione va ricollegata ad una più generale politica di confronto con l’Occidente, che mira anche a dividere i paesi europei tra di loro e dall’alleato americano per aumentare il peso internazionale della Russia. Basti pensare alle forti proteste per il dispiegamento del sistema antimissile Nato in Polonia e Repubblica Ceca, o alla minaccia di moratoria dal trattato che limita la quantità di forze armate convenzionali schierate sul confine russo-europeo. Perno di tale strategia è sull’uso politico da parte del Cremlino dell’arma energetica negli anni scorsi, in Ucraina come in Bielorussia, per sostenere le fazioni filo-russe contro quelle filo-occidentali. Arma energetica che Mosca non smette di potenziare: Le Monde ha dato ampio spazio alla conclusione da parte di Putin, il 12 maggio, di un accordo con Turkmenistan e Kazakstan per ampliare i gasdotti della Gazprom che portano in Russia il gas dell’Asia Centrale, affondando di fatto il progetto occidentale “Nabucco” di un gasdotto che dal Turkmenistan attraversasse Azerbaijan, Georgia e Turchia fino ai Balcani saziando la sete energetica europea senza consegnare a Mosca le chiavi del rubinetto. Putin rifiuta poi di firmare la carta energetica proposta dall’Unione, proprio per tenersi le mani libere nella gestione della fornitura di petrolio e gas.

È questa la conseguenza sul piano internazionale di un processo interno alla società russa, guidato dal Cremlino, che è andato ben oltre il legittimo obiettivo di restaurare l’autorità dello stato contro le mafie e gli oligarchi: le compagnie petrolifere sono state nazionalizzate a suon di espropri, arresti, esili; diversi giornalisti sono stati uccisi in circostanze sospette; le manifestazioni di piazza di aprile, organizzate dall’opposizione “Altra Russia” dell’ex campione di scacchi Kasparov, sono state disperse con arresti preventivi, detenzioni in carcere senza capi di accusa, e tante tante manganellate a chi aveva ancora il coraggio di scendere pacificamente in piazza.

Di fronte a tale processo ormai definibile come una restaurazione autoritaria, l’Unione Europea ha a lungo semplicemente chiuso gli occhi. Chirac ha esteso alla Russia la politica del “tiranno amico” già applicata in Medio Oriente pur di contrastare il ruolo mondiale degli Stati Uniti, mentre Schroeder ha coltivato rapporti così amichevoli con Mosca da garantirsi uno stipendio d’oro pagato dalla Gazprom al termine del suo mandato di cancelliere. Gran parte delle leadership politiche dell’Unione Europea hanno sottovalutato l’involuzione autoritaria russa, oppure hanno preferito ignorarla per non danneggiare i business in corso, o infine hanno ingoiato il rospo sotto la pressione del ricatto energetico. Solo quando l’orso russo è tornato a graffiare il confine orientale del vecchio continente, e quando nuovi leader sono arrivati al governo di Berlino e Parigi, qualcosa sembra essere cambiato. Polonia, Estonia e Lituania hanno fatto fronte comune con gli altri nuovi membri dell’Ue, che ben ricordano cosa significhi l’egemonia di Mosca perché ne portano ancora le ferite, per chiedere un cambio di rotta nella politica europea verso la Russia. Bruxelles finalmente ha condannato le pressioni russe verso gli stati europei, e nel vertice preparatorio del summit Ue-Russia i ministri degli Esteri dell’Unione hanno deciso di avviare i negoziati per un nuovo accordo di partenariato solo nel momento in cui cesserà l’embargo ai prodotti polacchi e saranno garantite le forniture energetiche alla Lituania. Secondo una fonte diplomatica citata dall’International Herald Tribune, “Putin ha pensato di poter dividere Polonia, Estonia e Lituania da Francia e Germania, e di iniziare lo stesso il negoziato commerciale, mentre l’Europa ha fatto fronte comune proprio a causa della sua mano pesante”.

Nello stesso giorno in cui Merkel e Barroso si sono incontrati con Putin, ancora una volta i leader dell’opposizione russa, tra cui lo stesso Kasparov, sono stati arrestati senza motivo a Mosca, solo per impedire loro di giungere a Samara per guidare il corteo anti-Cremlino che si sarebbe dovuto svolgere in concomitanza col vertice. Contemporaneamente, sette giornalisti della redazione di «Media group Russia», un service che prepara notiziari per una rete di radio locali russe, si sono dimessi in massa per denunciare la censura operata dai nuovi vertici imposti dal Cremlino, che hanno preteso l’oscuramento delle proteste anti-Putin e la trasmissione in ogni notiziario di almeno il 50% di notizie positive. A rendere ancora più evidente l’immagine di un sistema sempre più lontano dai canoni dello stato di diritto, vi è infine la decisione della Corte costituzionale russa di ammettere la riapertura di processi penali già conclusi per inasprire le pene ai condannati.

Di fronte a tale preoccupante situazione l’Europa dovrebbe scegliere una linea politica all’interno di un continuum i cui poli estremi sono entrambi insostenibili: se infatti è utopistico pretendere che l’Ue dimentichi la situazione energetica e i rapporti economici (la Russia è il terzo partner commerciale dell’Unione) per mettere il Cremlino con le spalle al muro sui diritti civili e politici, è tuttavia un atteggiamento suicida trattare con Mosca come se nulla fosse cambiato rispetto a qualche anno fa. Suicida perché, come rileva un editoriale del Financial Times del 18 Maggio, una politica di puro e semplice appeasement avrà il solo effetto d’incoraggiare Putin a minacciare i suoi vicini e ad alzare il prezzo dei negoziati, perché sicuro di non doverne pagare le conseguenze. L’attuale leadership russa non ha mai digerito la perdita della sua influenza sui suoi vicini ora membri dell’Unione, e pur sapendo di non poter riportare indietro le lancette della storia è fermamente decisa a marginalizzare i suoi ex satelliti all’interno dell’Unione Europea per continuare la prassi degli accordi bilaterali con Parigi, Berlino e Roma e massimizzarne il risultato per gli interessi russi, seguendo l’intramontabile logica del divide et impera.

Un ulteriore esempio di ciò è riscontrabile nelle dichiarazioni rilasciate alla fine del vertice: commentando il rifiuto europeo d’iniziare i negoziati per l’accordo di partenariato finché continueranno le intimidazioni ai suoi stati membri, Putin ha avuto la faccia tosta di affermare che “non drammatizziamo la situazione perchè capiamo e rispettiamo il fatto che prima di iniziare a negoziare l’Unione deve risolvere i suoi problemi interni”. Come se l’embargo alle carni polacche fosse posto dalla Germania, o il petrolio alla Lituania sospeso dalla Francia, o gli hacker che attaccano i server estoni fossero a Londra, e i problemi non fossero creati da Mosca. Barroso ha invece giustamente difeso la Polonia e la posizione europea, osservando lapalissianamente che “non ci sono ragioni di vietare l’esportazione della carne polacca, perché se ci fosse una ragione non permetteremmo alla stessa carne di circolare nel resto d’Europa”. Sta ora all’Europa decidere se mettere con decisione al centro di un negoziato globale con la Russia la dignità di tutti i suoi stati membri, la sicurezza energetica dell’intero continente, il rispetto da parte di Mosca degli accordi internazionali sui diritti umani, oppure se rimanere un mercato comune di interessi nazionali contrapposti, e fare così la fine dei capponi di Renzo.