Razzisti su Razzi

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Razzisti su Razzi

16 Febbraio 2013

di Ronin

Chi ama il cinema ricorderà probabilmente il celebre monologo del film La 25 ora, quel "fuck you" ripetuto ossessivamente a smascherare il politicamente corretto della buona società che di tutto si scandalizza eccetto che della sua ipocrisia. Viene in mente quel monologo guardando la puntata di ieri sera di "In Onda" costruita per elevare al cielo la superiorità spirituale di sinistroidi e postfascisti e per immolare sul banchetto televisivo come capro espiatorio l’onorevole Razzi. 

Che Razzi sia una specie di meteorite caduto dalla Svizzera sull’Italia, transitando dall’Idv al Pdl, se ne può discutere, anche se per Telese sembra una questione di vita o di morte, si agita, ride e pensa solo a quello. Che la candidatura di Razzi abbia moltiplicato i malumori nel popolo delle libertà sulla composizione delle liste in Abruzzo, è comprensibile, ma esisterà pure una "disciplina di partito" o famo come ci pare? Che l’onorevole se la debba sudare per rientrare in parlamento, e difficilmente gli basteranno un memoriale appena pubblicato o gli spot "più tennis per tutti", sarà il voto degli elettori a deciderlo non una trasmissione televisiva.

Si può discutere sulla moralità o meno di un partito, il Pdl, che, tradito dai voltagabbana, si affidò ai Razzi e agli Scilipoti pur di non alzare bandiera bianca. Un partito che, nonostante tutto, non dimentica chi ha scelto la "right side". Si può discettare di trasformismo nella storia della Repubblica e crisi del bipolarismo e di mille altre cose, ma una cosa è inaccettabile, il razzismo. Meglio, il razzismo su Razzi.

Lo leggiamo nell’alterigia e nei sorrisetti trattenuti dei Telese, delle Meloni, dei Frantoianni, dei Cota, che infastiditi dal lessico non proprio accademico del candidato Razzi danno spettacolo nell’avanspettacolo, mostrandosi a dir poco refrattari allo "svizzero" che non parla per bene in italiano. Proprio come accadeva a tanti lavoratori della nostra "Povera patria" che la Svizzera hanno contribuito a costruirla, trattati spesso a pesci in faccia dagli indigeni. Razzi, che in Svizzera ci è andato a lavorare a 17 anni, deve essere abituato alla spocchia, visto che ieri, in trasmissione, incassava tutto sorridente.

Ma a noi sul politicamente corretto siamo meno tolleranti. E parafrasando la 25 ora mandiamo a quel paese i maître à penser, quelli che si credono un gradino sopra gli altri e che, udite udite – a dirlo è il nuovo semidio della Magna Grecia, l’assessore Franco Battiato – "parliamo solo tra noi, che è meglio". Un inno all’elitismo che non sorprende vista la simpatia che trasmettono lorsignori, frequentatori assidui di salottini dove non vola una mosca, in religioso silenzio quando parla il Vate di turno, mentre puoi sbracare ridere e sfottere quanto ti pare se c’è Razzi.

Andate a quel paese con le padanate, l’estetica photoshoppata dei senzapaura (per inciso, il candidato di Fratelli d’Italia in Abruzzo è un ex Pdl), lo spirito (fallimentare) da servizio pubblico, la rivoluzione gentile di chi gentile non è perché non aspetta altro che sfoderare dalla fondina il rigor cupo del comunismo in giacchetta lisa che fu. Meglio Razzi, perché a differenza di tanti (mezzi) protagonisti della tv dà inconsapevolmente una dimostrazione, e cioè che il Pdl è una forza popolare: nella stessa trasmissione, nello stesso comitato elettorale, incontriamo "l’operaio svizzero" con i suoi strafalcioni e Gaetano Quagliariello, professore alla Luiss prestato alla politica. Quest’ultimo, un bell’esame avrebbe potuto farlo a tutti i presenti, Vati compresi, ma non è certo il tipo del ditino alzato, essendo i liberali tolleranti finché gli altri non diventano intolleranti. Allora so’ Razzi vostri.

Tanto per far infuriare un altro po’ i benpensanti che leggeranno questo articolo, provando il voltastomaco e correndo subito a comprare l’ultima fatica letteraria di Concita, verrebbe da dire, che partito interclassista è il Pdl! Ma detto senza rancore, che noia l’Italia che tenta di arruffianarsi il popolo (considerato) bue con la manfrina sul cambiamento. Quell’Italia che, così pare, c’invidiano all’estero (se la tenessero). L’Italia razzista su Razzi.