Rebus Pd: di primarie si vive o si muore? Il Cav. vuole il Pdl 2.0 (e non solo)

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Rebus Pd: di primarie si vive o si muore? Il Cav. vuole il Pdl 2.0 (e non solo)

04 Ottobre 2012

di L. B.

Regole nuove, vecchie polemiche. E’ il paradosso del Pd ogni volta che il gioco si fa duro; che spunta un outsider a minacciare le granitiche certezze (e il potere) della nomenclatura. Il dilemma oggi è: di primarie si vive o si muore? Perché nella sfida Renzi-Bersani sta il destino di un partito al bivio. Lo stesso bivio davanti al quale sta il Pdl, alle prese con gli effetti (elettorali) del Lazio-gate, le guerre interne tra ex, l’enigma della candidatura per la premiership e – soprattutto – la ricetta migliore per recuperare consensi. E continuare ad esistere.

Sull’affaire primarie il Pd rischia grosso. In primis Bersani la cui leadership da queste primarie dovrebbe uscire consacrata. Domani a Roma l’assemblea nazionale dovrà votare le regole per la consultazione popolare. Regole cambiate in corsa, regole alquanto macchinose stando a quel poco che trapela dal quartier generale del Nazareno, ma quanto basta per comprendere come il cambio in corsa nasconda altro. Ci si può leggere il tentativo di blindare ciò che per i democrat continua ad essere quel ‘bagno’ di democrazia popolare e partecipativa che non esiste altrove, anche se la storia dice che a tanta prosopopea sono corrisposti errori madornali: vedi i casi Pisapia a Milano o Doria a Genova, o Vendola in Puglia. Blindare le primarie oggi, significa tentare di sbarrare la strada a Renzi che con un camper e idee chiare (condivisibili o meno)  sta interpretando l’idem sentire di un elettorato che invoca il cambiamento, il rinnovamento della classe dirigente.

Se per Bersani il nuovo meccanismo di voto può rappresentare un modo per consolidare il proprio peso nella competizione diretta con lo sfidante, al tempo stesso può trasformarsi in un boomerang per un segretario di partito che su queste primarie ha sempre dichiarato di volersi misurare fino in fondo. Perché all’albo degli elettori, elenchi pubblici, nomi pubblicati sul web, obolo in lievitazione (dovrebbe passare da uno a cinque euro), il doppio turno, adesso si è aggiunta la pre-registrazione: in pratica la domenica prima della consultazione si va nella sede del partito a formalizzare per iscritto che la domenica dopo si va a votare per i candidati in lizza.

E’ chiaro che un simile impianto blinderà pure la candidatura di Bersani sul piano politico, ma di fatto diminuirà la platea potenziale ed effettiva di coloro che intendono partecipare. E in questo modo l’ eventuale ‘consacrazione’ di Bersani sarà ridimensionata in partenza. Conviene tutto ciò al segretario? Sul piano tattico forse, ma non su quello del rapporto con l’elettorato, lo stesso che poi dovrà decidere o meno di sostenerlo proprio alle primarie.

I maligni dicono che è un modo per portare alle urne le solite ‘truppe cammellate’; altri puntano l’indice sull’arroccamento della dirigenza e del segretario; altri ancora, invece, difendono lo schema considerandolo l’unico in grado di evitare gli infiltrati di destra, l’unico capace di garantire “il massimo di trasparenza e partecipazione”.

Renzi non ci sta, almeno non su tutto. La sua condizione è: va bene pure gli elenchi pubblici, il doppio turno ma niente pre-registrazione. E’ chiaro il motivo: se Bersani – tatticamente parlando – sa di poter contare su uno zoccolo duro, Renzi ha bisogno di allargare al massimo la platea dei potenziali elettori, compresi quelli di centrodestra delusi dal centrodestra e interessati alle primarie del centrosinistra. Non a caso Renzi tuona: “Impedire a chi ieri ha votato Berlusconi e ne è rimasto deluso di poter votare allee primarie del Pd è un capolavoro del tafazzismo”. Due schemi contrapposti, due visioni antitetiche, non solo sulla sfida in corso ma anche sull’idea di partito. E a questo punto della corsa, il consenso crescente del sindaco di Firenze (vedere sondaggi) comincia a insinuarsi come un tarlo nelle granitiche certezze della nomenclatura Pd. Un fatto è certo: se Renzi dovesse vincere, salterebbe tutto.

Altro dilemma: se sulla pre-registrazione non ci sarà mediazione, cosa farà Renzi? Parteciperà lo stesso o magari correrà da esterno, cioè come leader di un altro soggetto politico? E come ne uscirà l’immagine del partito di fronte a questa eventualità? Interrogativi che rimbalzano in Transatlantico e che solo nell’assemblea di domani avranno una risposta, a meno di un redde rationem che in molti nelle file democrat non si sentono di escludere a priori. Vedremo tra ventiquattr’ore.

Nel campo opposto, le cose non sono certo più definite. Ciò che appare sempre più chiaro, nel vortice di vertici-fiume (il gioco di parole è voluto), è che il Cav. sarebbe ormai sul punto di archiviare questo Pdl. Non è una novità, nel senso che in pubblico e nelle riunioni ristrette ormai da mesi non fa mistero del fatto che il partito così com’è – tra lotte intestine, malpancisti, minacce di scissioni, e nelle ultime settimane gli effetti del caso Fiorito – non mostra più né appeal tra gli elettori né competitività rispetto alle forze politiche avversarie.

Che fare? Non è tempo di un nuovo Predellino, eppure serve una svolta. Ma quale e in che direzione ancora il Cav. non lo ha chiarito ai suoi nell’ultimo summit a Palazzo Grazioli (mercoledì notte), buona parte del quale – oltretutto – sarebbe stato dedicato al solito ‘sfogatoio’ e alla lista dei nodi da sciogliere. Non dice di più il Cav., ci va cauto ma non avrebbe nascosto l’insofferenza per le liti interne facendo intendere che il suo obiettivo è quello di mettere in campo la versione aggiornata del partito; un Pdl 2.0 (ammesso che si chiamerà ancora Pdl).

Un nuovo progetto in grado di competere con la sfida forse più complicata cui il partito e tutta la politica dovrà fare i conti tra sei mesi. Nell’inner circle berlusconiano si parla di una iniziativa “non convenzionale” per rilanciare un’offerta politica che segni una rottura col passato e col ‘vecchio’ Pdl, tra la fine di novembre e i primi di dicembre. Tra le opzioni al vaglio c’è quella di un contenitore dei moderati, aperto alla società civile, lontano dai vecchi schemi di partito. Quanto basta per rievocare alla mente di molti parlamentari lo spirito e lo schema della Forza Italia del ’94. Non ora, però. Il timing è scattato ma l’ufficializzazione avverrà non prima di aver capito con quale legge elettorale si andrà alle urne e quale leader uscirà vincitore dalle primarie del centrosinistra.

E tuttavia non è detto che l’idea possa essere accolta con squilli di trombe da tutti; ad esempio da quella parte di An che tiene ancora sul campo – come estrema ratio – l’idea di un’uscita concordata dal partito per formare un nuovo soggetto più connotato sui valori della destra, federato col Pdl. E non è detto neppure che gli azzurri della prima ora restino ad aspettare se è vero che una pattuglia di deputati forzisti starebbe pensando più o meno alla stessa idea degli ex An più oltranzisti. C’è poi la questione della premiership. Nel nuovo progetto al quale sta lavorando Berlusconi potrebbe esserci anche l’ipotesi di un suo passo indietro a favore di un candidato ‘esterno’ in grado di interpretarne lo spirito. Ma il problema di fondo è: chi? Per ora, oltre ai gossip su Luca Cordero di Montezemolo peraltro poco interessato (politicamente) a rinchiudersi nel solo recinto del centrodestra, non sembra ci sia granchè.

B (Bersani) e B (Berlusconi) al bivio. Stavolta, insieme a tutta la politica.