Recovery Fund, se l’Europa rischia di gettare via il biglietto vincente
01 Giugno 2020
I recenti annunci sulle risorse finanziarie che le istituzioni europee si accingono a mettere a disposizione dei Paesi membri costituiscono dati positivi per le economie poste maggiormente sotto pressione dalla crisi prodotta a seguito dell’emergenza epidemiologica. I primi dati hanno anticipato un ammontare complessivo di risorse alle quali potrebbe fare appello l’Italia stimate intorno a 172 miliardi di euro, suddivise tra 81,8 miliardi circa di aiuti a fondo perduto e 90,9 circa di prestiti. Non sono ancora noti dettagli importanti, come quelli del tasso di interesse e della durata ai quali i prestiti saranno resi disponibili, ma non è difficile ipotizzare che ciò avverrà comunque a condizioni meno onerose di quelle altrimenti disponibili sui mercati finanziari, oltre evidentemente ad allentare la pressione in sede di rinnovo dei prestiti in scadenza, aspetto certamente non secondario per un Paese ad elevato tasso di debito come il nostro.
Uno scenario connotato da un dato così inequivocabilmente positivo non deve indurre a sottovalutare o ignorare aspetti problematici, sui quali invece è opportuna la più attenta riflessione, al di là di ogni preconcetto ideologico.
Innanzi tutto, e questo non intende certamente sminuirne la rilevanza, quanto annunciato costituisce, in realtà, solo la proposta della Commissione UE che richiede di essere definita attraverso un articolato iter, destinato a concludersi con la definizione del bilancio UE 2021, per una concreta disponibilità non prima di gennaio 2021. Non si tratta di supposizioni ispirate a scarsa fiducia nella effettiva volontà delle istituzioni coinvolte, ma di rispetto delle regole e delle fasi procedurali richieste. Già la documentazione ufficiale della Commissione UE precisa che la proposta della Commissione sul quadro finanziario pluriennale riveduto 2021-2027 richiede entro luglio 2020 l’accordo politico in sede di Consiglio europeo, entro l’estate 2020 la conclusione della consultazione del Parlamento europeo in merito alla decisione sulle risorse proprie, l’adozione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 entro dicembre 2020, con approvazione del Parlamento UE, per poi approdare solo a gennaio 2021 all’attuazione del nuovo quadro finanziario. Intanto, è facile immaginare che, durante questa articolata e complessa trama di trattative e confronti, la politica e i rapporti tra gli Stati orienteranno la rotta. E gli schieramenti già noti tra i diversi Paesi membri potrebbero ben presto tradursi in corrispondenti richieste di contropartite, non solo squisitamente finanziarie, in un percorso per niente affatto scontato e anzi rispetto al quale ci si deve augurare vigile e responsabile partecipazione.
E tutto questo non deve far dimenticare che il programma, condizionato necessariamente a queste cadenze, in ogni caso non potrà trovare attuazione prima del momento in cui si temono (non senza fondamento) pesanti ricadute sul tessuto sociale e produttivo, in coincidenza con la fine degli interventi emergenziali di sostegno al reddito e di finanziamento eccezionale degli ammortizzatori sociali.
Proprio la presenza di un percorso così accidentato e disseminato di passaggi non scontati, induce a qualche riflessione ulteriore.
Il significato politico della proposta della Commissione UE è inequivoco, ed è un segno potente della volontà (probabilmente non di tutti, ma che almeno allo stato pare prevalente) di segnare un deciso cambio di passo rispetto ad un atteggiamento di sostanziale timidezza da parte delle istituzioni UE. È importante che ciò avvenga in risposta agli effetti di una crisi prodotti, va ribadito, non per responsabilità delle politiche di singoli Stati.
Ma vanno anche osservati tutti i contorni dello scenario che si profila. Sulla base di dati ufficiali della Commissione UE si profila un complesso meccanismo per la raccolta delle disponibilità occorrenti ad alimentare il funzionamento del nuovo meccanismo finanziario, e, poi, l’atterraggio di quelle ingenti risorse finanziarie nelle economie dei singoli Paesi, secondo indici che attingono a dati oggettivi e tengono conto delle differenti realtà rispetto a fondamentali economici e finanziari irrinunciabili.
Così è quanto mai interessante l’esame del documento in data 27.5.2020 preparato dalla Commissione UE al riguardo per dare corpo sia alle scelte allocative delle ingenti risorse prefigurate, ma anche alle fonti di approvvigionamento, Commission Staff Working Document – Identifying Europe’s recovery needs – Accompanying the document Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee ff the Regions – Europe’s moment: Repair and Prepare for the Next Generation – COM(2020) 456 final – SWD(2020) 98 final.
Una sintesi brutale del ben più complesso percorso prefigurato in tale documento si rinviene dalla sintesi desumibile da una tabella in calce allo stesso.
Allocation keys
Country | Allocation Key | Group | GDP bn | Share in EU 27 GDP Recip in bn | Contr (bn) | Net (bn) | Net (% GDP) | GDP per cap | |||
BE | 1.6 | H | 474 | 3.4% 12.0 | 25.5 | -13.5 | -2.9% | 35900 | |||
BG | 2.0 | E | 61 | 0.4% | 15.0 | 3.3 | 11.7 | 19.3% | 6800 | ||
CZ | 1.5 | E | 220 | 1.6% 11.3 | 11.9 | -0.6 | -0.3% | 18000 | |||
DK | 0.6 | H | 311 | 2.2% | 4.5 | 16.7 | -12.2 | -3.9% | 49190 | ||
DE | 6.9 | H | 3436 | 24.7% 51.8 | 185.1 | -133.3 | -3.9% | 35980 | |||
EE | 0.3 | E | 28 | 0.2% | 2.3 | 1.5 | 0.7 | 2.6% | 15670 | ||
IE | 0.4 | H | 347 | 2.5% 3.0 | 18.7 | -15.7 | -4.5% | 60350 | |||
EL | 5.8 | S | 187 | 1.3% | 43.5 | 10.1 | 33.4 | 17.8% | 18150 | ||
ES | 19.9 | S | 1245 | 8.9% 149.3 | 67.1 | 82.2 | 6.6% | 25170 | |||
FR | 10.4 | H | 2419 | 17.4% | 78.0 | 130.3 | -52.3 | -2.2% | 33360 | ||
HR | 2.0 | E | 54 | 0.4% 15.0 | 2.9 | 12.1 | 22.4% | 11990 | |||
IT | 20.4 | S | 1788 | 12.8% | 153.0 | 96.3 | 56.7 | 3.2% | 26860 | ||
CY | 0.3 | S | 22 | 0.2% 2.3 | 1.2 | 1.1 | 4.9% | 24250 | |||
LV | 0.7 | E | 30 | 0.2% | 5.3 | 1.6 | 3.6 | 11.8% | 12490 | ||
LT | 0.9 | E | 48 | 0.3% 6.8 | 2.6 | 4.1 | 8.6% | 13880 | |||
LU | 0.0 | H | 64 | 0.5% | 0.0 | 3.4 | -3.4 | -5.4% | 83640 | ||
HU | 2.0 | E | 144 | 1.0% 15.0 | 7.7 | 7.3 | 5.0% | 13180 | |||
MT | 0.1 | E | 13 | 0.1% | 0.8 | 0.7 | 0.0 | 0.3% | 21890 | ||
NL | 1.7 | H | 812 | 5.8% 12.8 | 43.7 | -31.0 | -3.8% | 42020 | |||
AT | 1.0 | H | 399 | 2.9% | 7.5 | 21.5 | -14.0 | -3.5% | 38240 | ||
PL | 8.6 | E | 529 | 3.8% 64.5 | 28.5 | 36.0 | 6.8% | 12980 | |||
PT | 4.2 | S | 212 | 1.5% | 31.5 | 11.4 | 20.1 | 9.5% | 18550 | ||
RO | 4.4 | E | 223 | 1.6% 33.0 | 12.0 | 21.0 | 9.4% | 9130 | |||
SI | 0.5 | E | 48 | 0.3% | 3.8 | 2.6 | 1.2 | 2.4% | 20490 | ||
SK | 2.0 | E | 94 | 0.7% 15.0 | 5.1 | 9.9 | 10.5% | 15890 | |||
FI | 0.7 | H | 240 | 1.7% | 5.3 | 12.9 | -7.7 | -3.2% | 37170 | ||
SE | 1.2 | H | 475 | 3.4% 9.0 | 25.6 | -16.6 | -3.5% | 43900 |
Note: E, S, and H groups refer to EU below average GDP per capita (low debt), EU below average GDP per capita (high debt), and EU above average per capita income (high income), respectively.
In virtù dei parametri ipotizzati, secondo gli scenari prospettabili, e in virtù della partizione dei diversi Paesi in ragione dei rispettivi andamenti finanziari, emerge che si opera una poderosa redistribuzione di risorse all’interno dei 27 Paesi, come è ragionevole e giusto che avvenga, in virtù della quale inevitabilmente ci saranno soggetti contributori e percettori, senza che ci sia, ovviamente, equivalenza tra le due voci. Altrimenti non si capirebbe neppure il senso dell’intervento di riequilibrio strutturale dell’intera Unione perseguito.
È interessante però notare che questo calcolo coinvolge anche l’Italia, per la quale si prevedono i tanto agognati (da alcuni) contributi a fondo perduto, ma a fronte di una necessità di contribuzione al progetto complessivo per 96,3 miliardi di euro. Quindi, l’entità concreta delle risorse effettivamente rese disponibili per il nostro Paese, risulterà necessariamente condizionata dal saldo tra le voci segnalate. Questo induce non certo a sminuire l’importanza, soprattutto politica, del programma annunciato, ma, più banalmente, a maggiore attenzione nei calcoli che necessariamente dovrebbe indurre a non perdere mai di vista l’esigenza di gestione di un così ambizioso programma finanziario.
Dato che vanno bandite sterili polemiche ideologiche, pare doverosa una valutazione complessiva delle misure prefigurate, richiamando l’attenzione anche su questo aspetto del programma, per richiedere pure su tale risvolto (che non sembra del tutto irrilevante) una valutazione responsabile allorchè verranno messe in campo le scelte allocative, cioè le destinazioni concrete delle risorse rese disponibili.
In altri termini, c’è da augurarsi davvero che non prenda corpo un dibattito interno solo dominato dal compiacimento per un grazioso regalo elargito da una entità avvertita come potente ma tradizionalmente avara, per poi dare immediatamente sfogo a irrefrenabili pulsioni di spesa incontrollata, nella ottusa convinzione che la quantità faccia la qualità, e che pertanto solo aumentando l’entità della spesa, quale che essa sia, si assolva al compito di buon governo che incombe sui responsabili della cosa pubblica, a tutti i livelli.
Deve essere chiaro che un approccio di questo tipo costituirebbe davvero un colpo gravissimo inferto alla credibilità del Paese a livello internazionale e delle sue istituzioni nel rapporto profondo con i cittadini.
Nella prima fase dell’emergenza economica erano stati invocati (senza successo) interventi immediati ed automatici in grado di mantenere la linea di galleggiamento dell’economia di fronte ad una crisi mai vista prima per profondità, estensione, gravità e rapidità di diffusione. Per poi poter costruire su quelle basi, rinsaldate anche da una coesione sociale non affidata solo a stucchevole retorica mediatica, una ricostruzione con ambizione di prospettiva di più ampio termine.
Non si è riusciti a mettere in campo una risposta così congegnata: ci si dibatte con i tempi delle procedure e la declinazione di responsabilità in parallelo con la rivendicazione di visibilità.
Quando tra qualche settimana saranno esaurite anche le risorse per ammortizzatori sociali e la gradualità delle ripartenze sarà alle spalle, potrebbero essere deflagranti le conseguenze segnate dalla fragilità del tessuto produttivo non prontamente e adeguatamente difeso dalla assenza di soluzioni di ampio respiro. Nella migliore delle ipotesi emergerà un generale incremento dell’indebitamento delle attività produttive ancora in vita, ma un pressocchè inevitabile diminuzione del livello di occupazione.
Il tutto accompagnato dal pericoloso diffondersi a livello culturale degli effetti di una politica fondata sulla moltiplicazione del bonus per tutti (in verità, nata già in precedenti stagioni). Come a dire che, fatta la regola, ciascuno ha diritto alla sua eccezione per ritagliarsi uno strapuntino di privilegio. Con buona pace delle ambizioni di coesione sociale e prospettiva istituzionale.
In questo senso non sembrano del tutto felici alcune delle prime reazioni registrate nel nostro Paese. Tra alcuni esponenti istituzionali è immediatamente scattata, parrebbe quasi come reazione istintiva ed immediata, la manifestazione di giubilo perché in questo modo si potrebbe tornare a spendere.
Di tutte le reazioni possibili rispetto allo scenario delineato, questa ci pare la meno confacente ad una classe dirigente che ambisca davvero a tale qualifica.
Il sincero rallegramento del partito trasversale della spesa facile e diffusa, in un Paese con il debito pubblico che grava sull’Italia, condizionandone di fatto ma pesantemente ogni scelta politica, come replica immediata all’annuncio della prossima disponibilità di risorse finanziarie provenienti dal bilancio UE nelle proporzioni annunciate manifesta una preoccupante carenza di visione strategica e, prima ancora, un grave deficit di maturità istituzionale. Sarebbe davvero una colpa imperdonabile verso le prossime generazioni se una occasione così importante venisse banalmente rivolta nella consueta giostra di spese improduttive e diffuse, funzionali magari per alimentare clientele e una prospettiva pauperistica e sussidiata della società che alcuni nostri decisori pubblici perseguono con sforzi e pervicacia degni di miglior esito.
Ripetere errori del passato (più e meno recente) non può costituire un alibi o uno scudo per l’assenza grave di coraggio e responsabilità. Valori che, se non riescono ad emergere in fasi così delicate per le istituzioni e per le vite di ciascuno, evidentemente latitano al di là della retorica.
C’è da augurarsi davvero che, più che la ben nota corsa alla spartizione, prevalga la condivisione di un progetto comune, in grado di aggregare al di là di schieramenti avvertiti come steccati, individuando priorità invece che moltiplicando quote e partizioni, privilegiando soluzioni di lungo periodo e cogliendo l’occasione, forse irripetibile, per interventi davvero strutturali, perché le prossime generazioni non abbiano a pagare il conto della incapacità o della miopia politica ed istituzionale dell’oggi.