Recovery Plan e credito popolare: una “missione possibile”

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Recovery Plan e credito popolare: una “missione possibile”

Recovery Plan e credito popolare: una “missione possibile”

13 Maggio 2021

Ricevuto il consenso, a larghissima maggioranza, da Camera e Senato e approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri, il Recovery Plan, ovvero il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dopo mesi di discussioni, trattative e una crisi di Governo, è finalmente giunto a Bruxelles, rispettando il termine fissato dall’apposito Regolamento UE. Una scadenza, peraltro, non perentoria, ma il cui rispetto consentirà di “avere subito i soldi”.  “Un intervento epocale”, l’ha definito il Presidente Mario Draghi e, di certo, non sono mancati i toni enfatici per salutare il varo del “nuovo Piano Marshall” che, al pari di quanto successe al termine del secondo conflitto mondiale, dovrebbe portarci fuori dalle macerie che la pandemia ha lasciato sul terreno della nostra economia e della nostra convivenza sociale e civile e ridisegnare il nostro futuro per regalarci, magari, un nuovo boom economico, proprio come avvenne allora anche se, a differenza del secondo dopoguerra, ci ritroviamo in un mondo non più diviso in due soli blocchi contrapposti, ma in un’epoca dove la competizione globale richiede, al fianco delle risorse, una velocità, finora sconosciuta in Italia e nel Vecchio Continente, nelle decisioni e nei tempi di attuazione.

Ma, esattamente, cosa è contenuto all’interno delle 318 pagine, finite sulla scrivania di Ursula Von der Leyen? Partiamo, innanzitutto, dagli obiettivi che l’Italia punta a raggiungere con le misure contenute nel Piano, ovvero la riduzione dell’impatto sociale ed economico della crisi pandemica, il raddoppio del tasso medio di crescita dell’economia italiana dallo 0,8% all’1,6%, in linea con la media europea, l’aumento degli investimenti pubblici almeno al 3% del PIL, la crescita della spesa per Ricerca e Sviluppo dall’attuale 1.3% al 2,1%, l’incremento significativo del tasso di occupazione al 73,2% contro l’attuale 63%, l’innalzamento degli indicatori di benessere, equità e sostenibilità ambientale e dell’aspettativa di vita in buona salute, la riduzione dei divari territoriali di reddito, occupazione, dotazione infrastrutturale e livello dei servizi pubblici, il miglioramento del tasso di natalità (considerando che il nostro Paese si trova in un vero e proprio “inverno” demografico), il contrasto all’abbandono scolastico, all’inattività dei giovani e il miglioramento della preparazione degli studenti e della quota di diplomati e laureati, il rafforzamento della sicurezza e della resilienza del Paese nei confronti di calamità naturali, cambiamenti climatici, crisi epidemiche e rischi geopolitici, la promozione delle filiere agroalimentari sostenibili e la lotta agli sprechi alimentari, la garanzia, infine, della sostenibilità e della resilienza della finanza pubblica. Punto, quest’ultimo, sul quale sono molto sensibili dalle parti di Bruxelles, anche perché l’entità delle risorse che confluiranno al nostro Paese da qui al 2026 (191,5 miliardi che salgono a 248 miliardi se si comprendono i 30 miliardi del Fondo complementare e le risorse del Ready EU) è tale per cui la corretta o meno applicazione del PNRR italiano è in grado di condizionare i risultati attesi dal Piano europeo nel suo complesso e, soprattutto, i Paesi cosiddetti “frugali”, e più rigoristi, del Nord Europa sono certamente poco propensi a mettere in gioco il debito comune europeo per finanziare un piano di riforme e investimenti così corposo senza avere garanzie ben precise e dettagliate.

Il piano si articola in sei categorie di spesa individuate sulla base dei sei Pilastri del NextGenerationEU e denominate “Missioni” (digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute), che a loro volta sono articolate in 16 “Componenti”. Accanto alle sei “Missioni” il secondo fulcro intorno al quale ruota il PNRR, su cui si sono addensate il maggior numero di richieste di chiarimenti e di integrazioni da parte dei tecnici della Commissione Europea, è rappresentato dalle “Riforme”, suddivise in tre tipologie: orizzontali, abilitanti e settoriali. Le riforme orizzontali si caratterizzano per la loro natura traversale nei confronti di tutte le Missioni del Piano, in quanto destinate a incidere sulla generale efficienza e competitività del Paese, determinando innovazioni di carattere strutturale nell’ordinamento e sono, sostanzialmente, due: quella della Pubblica Amministrazione e quella della Giustizia. Se ne parla, in Italia, da troppo tempo. La novità, questa volta, è che bisognerà farle, a rischio della possibile sospensione nell’erogazione delle tranche semestrali dei fondi assegnati all’Italia, il cosiddetto “freno d’emergenza” a disposizione della Commissione. Le riforme abilitanti, invece, sono quell’insieme di interventi di carattere strumentale funzionali alla corretta attuazione del Piano e sono la semplificazione normativa, in materia di contratti pubblici, in materia ambientale, edilizia e urbanistica e in materia di investimenti e interventi nel Mezzogiorno, e la promozione della concorrenza, per la quale sarebbe già un clamoroso passo in avanti se si adeguasse e si rendesse operativa l’attuale legge, prevista nel nostro ordinamento dal 2009 ma in concreto adottata solo nel 2017. Le riforme settoriali, infine, sono quelle relative alle singole Missioni del Piano e mirano a introdurre regimi regolatori e procedurali più efficienti nei rispettivi ambiti.

Un piano “blindato”, che non potrà essere modificato in corso d’opera in base ai cambiamenti d’umore o di maggioranza e che non può essere inteso come una mera lista di buoni propositi e di enunciazioni di rito, la cui attuazione sarà monitorata, tanto che il nostro Paese tornerà a essere un “osservato speciale”, anche perché le ingenti somme con cui sarà finanziato verranno reperite attraverso il collocamento sul mercato di bond emessi direttamente dalla Commissione UE. Piuttosto, un’occasione straordinaria per trasformare radicalmente e strutturalmente l’Italia il suo Mezzogiorno: è questa la vera, unica missione che, attraverso il Recovery Plan, bisognerà rendere possibile e affinché sia così sarà fondamentale il ruolo che giocheranno le banche. Un sistema bancario radicato nel territorio e che sia tempestivo nell’agire a sostegno del tessuto produttivo sarà un elemento quanto mai essenziale e determinante. La vocazione al finanziamento dell’economia reale dei territori è un punto di forza per il sistema produttivo e, insieme, una grande responsabilità per il sistema bancario che è pronto ad accettare una così importante sfida. Il processo di consolidamento bancario dei decenni precedenti ha colpito in misura minore le Banche popolari portando queste ultime a essere, ad esempio, i principali istituti bancari nati nel Mezzogiorno e che in tale area continuano ad operare. Il Credito popolare resta, per questo, una delle più efficaci realtà in grado di fornire un importante contributo grazie all’esperienza di banche localistiche e alla capacità di ampliare gli effetti positivi dei progetti del PNRR coinvolgendo le migliori realtà produttive dei singoli territori, quasi un effetto moltiplicatore.

Piccoli e medi imprenditori, in questi mesi, grazie ai finanziamenti provenienti dalle banche del credito popolare, hanno potuto, malgrado tutto, malgrado il dramma della crisi, dar vita o rilanciare attività produttive, rendendo possibile salvare o guadagnare posti di lavoro così come tante famiglie hanno potuto acquistare una casa. Le banche popolari, grazie alla propria presenza ramificata e capillare nei singoli territori come nei tanti distretti industriali, grazie alla cura del capitale relazionale – un patrimonio di conoscenze e di legami che la banca instaura quotidianamente con i propri soci e clienti, figure spesso coincidenti ed appartenenti al tessuto produttivo locale – sono in grado, più di ogni altro soggetto economico, di discernere oltre che per permettere alle imprese di resistere e riprendere a crescere anche di accompagnare razionalmente le ingenti risorse che arriveranno nei prossimi mesi. Il sistema che lega le banche popolari all’economia reale dei territori, dunque, sarà indispensabile perché una missione ambiziosa ed “epocale” come quella del Recovery Plan diventi anche “possibile”.

*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari