Recovery Plan, le opportunità e le necessarie correzioni di rotta

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Recovery Plan, le opportunità e le necessarie correzioni di rotta

28 Aprile 2021

Ho letto il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (meglio noto come Recovery Plan) e ho ascoltato con interesse la presentazione che il presidente Draghi ne ha fatto in Parlamento.

Non mi dilungherò sull’analisi della situazione economica, credo siano sufficienti tre dati: – 8,9% il Pil; un milione di posti di lavoro persi; quasi il 10% di cittadini sulla soglia della povertà assoluta.

E, altrettanto brevemente, rilevo come forse sia necessario fare ancora chiarezza sul complesso delle risorse disponibili: oltre a quelle comprese nella tabella di riepilogo del Piano stesso, dispositivo UE per il PNRR, fondo complementare nazionale e React EU, sembra infatti che un progetto complessivo di rinnovamento possa contare anche sulle risorse frutto del reintegro di 15,5 mld del Fondo Sviluppo e Coesione e su ulteriori 26 mld, entro il 2032, per opere specifiche.

È responsabilità nazionale riconoscere in questo momento l’opportunità economica e culturale di ridisegnare il volto dell’economia italiana: avviando una stagione di riforme strutturali e di politiche industriali capaci di costruire un ecosistema sostenibile, digitale e competitivo a livello europeo; ripensando il modello stesso di organizzazione territoriale, attraverso la riqualificazione e la diffusione di servizi e infrastrutture, senza dimenticare le specificità italiane.

Vorrei soffermarmi su alcuni aspetti che riguardano l’orizzonte temporale del Piano, quel “Next Generation” riportato anche come hashtag in copertina. D’altronde gli impegni finanziari che stiamo assumendo ricadranno non solo sulla prossima generazione. Ebbene, stiamo davvero preparando l’Italia della next generation? Ecco, su questo direi che qualche margine di miglioramento c’è.

Alcuni esempi specifici, iniziando dal tema della digitalizzazione. Ritengo sia necessario superare la logica di aree bianche o aree grigie per adottare quella del diritto universale alla connessione, coinvolgendo negli investimenti gli operatori che più guadagnano dalla diffusione capillare della rete, dai fornitori di contenuti ai circuiti dei pagamenti digitali, per esempio. Si tratta di un passaggio fondamentale che segue logicamente il processo di digitalizzazione della PA e la possibilità di fornire la propria prestazione lavorativa da remoto, ma anche lo sviluppo di una Dad che ampli le possibilità di tutti i giovani.

E ancora. Valorizzazione e inclusione del territorio nazionale non vuol dire solo promuovere itinerari turistici per i borghi caratteristici, ma rendere quei borghi nuovamente abitabili, portando servizi (PA, sanità, credito) e infrastrutture materiali e immateriali (hub logistici, 5G, riqualificazione digitale degli edifici pubblici, stazioni di coworking), intercettando il fenomeno nascente della nuova deurbanizzazione.

Inoltre, la specificità tutta italiana del tessuto delle PMI e della loro organizzazione in distretti industriali va valorizzata creando le condizioni logistiche per la loro formazione anche nelle aree del Paese più periferiche. E’ un tema che riguarda sicuramente il sud, ma anche le isole, le aree interne: dobbiamo investire in economia di prossimità, rendere tutto il territorio nazionale un luogo dove poter costruire il proprio futuro. Questo non vuol dire solo “includere”: vuol dire aumentare la produttività complessiva del Paese e realizzare una rete economica che garantisca “resilienza” al sistema.

La stessa logica di sviluppo deve essere alla base della transizione energetica ed ecologica: bene l’investimento sulla filiera dell’idrogeno e dell’economica circolare, ma attenzione al tema della mobilità elettrica, in particolare per quanto riguarda la realizzazione e lo smaltimento delle batterie al litio. Ho letto con un certo stupore l’auspicio alla realizzazione di impianti europei di produzione di batterie al litio, mi vengono in mente l’Italvolt, un investimento da 4 miliardi di euro per l’impianto  per la realizzazione di batterie di nuova generazione che sorgerà alla ex Olivetti vicino Torino e impiegherà direttamente 4.000 lavoratori più altri 10.000 considerato l’indotto.

E ancora la Northvolt di Skelleftea, ridente località di 35.000 anime della Lapponia svedese, finanziato dalla BEI, co-fondata da un italiano, l’ing Paolo Cerruti, con un passato in Tesla.

Aldilà di questi progetti specifici, il tema non è tanto la produzione delle batterie quanto l’approvvigionamento delle materie prime rare, litio in primis. In questo senso, in linea con le comunicazioni UE, sarebbe necessario un impulso maggiore per implementare la ricerca sullo smaltimento e sul recupero dei componenti.

Infine, un auspicio che in realtà è più una raccomandazione: la semplificazione sia strutturale. Va bene imporre un’accelerazione alla realizzazione di alcune opere prioritarie, ma nel lungo periodo non si può creare una disparità fra infrastrutture. Dobbiamo dare al Paese un sistema di regole e di procedure che consentano in modo rapido ed efficiente di realizzare, riconvertire e manutenere le infrastrutture e le opere pubbliche di cui avrà bisogno nel corso del tempo. Su questo punto non possiamo ragionare solo in termini di emergenza, ma di riforma strutturale della burocrazia.

Mi fermo a questi pochi suggerimenti per dare l’idea concreta che si può migliorare un testo che si prefigge di disegnare l’Italia della prossima generazione, e che lo si può fare in Parlamento. Per questo, forte dovrà essere l’impegno del Governo ad un dialogo costante con le Camere e forte dovrà essere la trasparenza dei risultati ottenuti dall’attuazione del Piano.