Refendum sull’acqua: anche Confindustria Abruzzo dice ‘no’
31 Maggio 2011
di V. S.
Passare da un servizio pubblico inefficiente e sovvenzionato, a un sistema industriale che consenta economie e investimenti consistenti. È questa la verità sull’acqua per il Comitato del No, che in questi giorni ha fatto tappa in Abruzzo e che in vista del referendum del 12 e 13 giugno ha incassato l’appoggio di Confindustria. Non poteva essere altrimenti, perché al di là delle battaglie ideologiche e delle strumentalizzazioni, è questo il senso del “cambiamento” auspicato. Peccato che, come ha sottolineato il presidente nazionale del Comitato del No, Walter Mazzitti, sui due quesiti sia stata fatta “una grande confusione, frutto di un’informazione inadeguata”.
Perché il no a questo referendum in realtà significa da un lato dire no alla casta dell’acqua e dall’altro rappresenta il tentativo di offrire ai cittadini un servizio qualitativamente migliore e soprattutto efficiente, che risponda alle loro esigenze. “Non abbiamo mai parlato di privatizzazione – spiega Mazzitti – ma di semplice industrializzazione”. Come dargli torto visto lo stato in cui versa oggi il servizio idrico nazionale e locale? Solo per fare qualche esempio: in Italia la rete perde fino al 60% delle risorse idriche, con 2,5 miliardi di perdite annue. E forse non tutti sanno in Italia l’acqua non è un bene di tutti, visto che il 30% della popolazione non riceve tutti i giorni l’acqua potabile in casa. Un allarme condiviso da Confindustria che ricorda come l’Abruzzo vanti il primato negativo su scala nazionale relativo al costi di gestione: il 44% risulta assorbito da quelli per il personale.
Le notizie non sono state diffuse correttamente, molto spesso volontariamente nascoste. Come ha sottolineato il presidente di Confindustria Chieti, Fabio Spinosa Pingue, “il modo in cui i referendari hanno agito è simile ad una macchina da guerra, raccogliendo firme e consensi in modo subdolo". Il dubbio che faccia “comodo” lasciare le cose così come stanno è dunque lecito. Specie se si considera che forse una casta dell’acqua esiste già e oggi detiene tutta una serie di privilegi a cui non vuole rinunciare, come i Cda nominati dalla politica, le assunzioni senza concorso, le consulenze affidabili liberamente.
E quindi? Per i Comitati del No la risposta è solo una: immettere gradualmente il 40% di capitale privato e arrivare ad una società mista, sempre a maggioranza pubblica. “In questo modo si darebbe stimolo ad una svolta epocale nel settore – continua il presidente Mazzitti – che punti ad ammodernare la rete idrica nazionale oggi un vero e proprio colabrodo e nello stesso tempo costruire impianti di depurazione. Creando anche nuovi posti di lavoro”. Pubblico e privato, dunque, potrebbero diventare le due facce di una stessa medaglia: quella dell’efficienza idrica.
Un punto sul quale è d’accordo anche il consigliere regionale del Pdl, Federica Chiavaroli che invita a mettere da parte le strumentalizzazioni e, di fronte ad un bene comune come quell’acqua, a valutare con obiettività la migliore strategia. “Partendo dal presupposto fondamentale che l’acqua è un bene pubblico e che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione questo principio, nulla toglie che si possano fare valutazioni. Pubblico e privato – continua Federica Chiavaroli – non è detto che debbano escludersi a vicenda, ma in questo caso potrebbero insieme portare più efficienza nella gestione”.