Referendum elettorale: Corte incerta, politica in ansia

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Referendum elettorale: Corte incerta, politica in ansia

11 Gennaio 2012

 

Verdetto decisivo, non solo per il destino del referendum elettorale ma per i futuri assetti politici. A Palazzo della Consulta i quindici giudici della Corte Costituzionale si sono riuniti per sei ore in camera di consiglio per decidere se dichiarare o no ammissibile i due quesiti abrogativi della legge elettorale (alias Porcellum). Nei Palazzi della politica c’è attesa ma si valutano già le strategie pe r il ‘dopo’: molti parlamentari dei due schieramenti ritengono probabile un verdetto negativo, che dunque respinga l’iniziativa referendaria, ma è altrettanto vero che tra i giudici chiamati a pronunciarsi non ci sarebbe un orientamento unanime. E lo dimostra il fatto che la decisione attesa per oggi slitta a domani.

Verdetto decisivo. Perché? Un eventuale sì della Corte in qualche modo spingerebbe i partiti ad accelerare il ragionamento attorno alla necessità di rivedere l’attuale sistema elettorale sul quale peraltro nessuno sembra ormai avere più dubbi. L’idea, in questo caso, sarebbe quella di varare in tempi rapidi una nuova norma che di fatto vanificherebbe la consultazione referendaria. In sostanza, se la Consulta ammettesse il referendum e se le urne (probabilmente in primavera) dovessero dare ragione al comitato anti-Porcellum,  si determinerebbe una situazione per la quale ci troveremmo a votare con un sistema misto, cioè quello del Mattarellum che prevede l’assegnazione con criteri proporzionali di un 25 per cento dei seggi parlamentari. In questo caso il bipolarismo – ancorchè imperfetto oggi in vigore – subirebbe un consistente indebolimento.

E’ anche per questo che dai maggiori partiti – soprattutto Pdl e Pd – viene la sollecitazione a ragionare su una modifica dell’attuale sistema elettorale in modo da varare, prima possibile, una nuova legge. Ma un’iniziativa del genere richiederebbe una convergenza parlamentare molto ampia e come tale in grado di garantire un iter celere al provvedimento. E considerato che Idv e Lega non ne vogliono sapere, non sarà certo un percorso in discesa. Resta poi da capire la posizione dell’Udc, anche se contatti informali tra i leader di Pdl, Pd e Terzo Polo ci sono già stati e continuano a esserci. Il segretario del Pdl Alfano conferma la disponibilità a rivedere la norma anche se tiene ferma la barra sul principio del bipolarismo e sulla garanzia per gli elettori di scegliere il premier. E da Palazzo Madama Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl, osserva che “la scelta della Consulta non può essere decisiva” perché sulla riforma elettorale e su quella istituzionale “la politica non può e non deve farsi tirare per la giacca, bensì assumere un’iniziativa autonoma”.

Pier Luigi Bersani, costretto a fare lo slalom gigante per parare gli attacchi di Di Pietro che lo accusa in sostanza di aver voltato le spalle all’iniziativa referendaria dopo averla sostenuta con la raccolta delle firme, è convinto che la politica ci debba rimettere le mani e per questo sollecita un confronto calendarizzato tra i maggiori partiti, una sorta di tavolo per raggiungere una soluzione quanto più condivisa.

Ma cosa chiedono i referendari? Ieri a Palazzo della Consulta gli esponenti del comitato promotore hanno spiegato i motivi dell’iniziativa: Nicolò Sandulli e Federico Sorrentino, a sostegno del primo quesito che chiede l’abolizione totale della legge Calderoli, e Alessandro Pace e Vincenzo Palumbo, per il secondo che vuole abolire il Porcellum per parti ripristinando di fatto la precedente normativa con la quale si è già votatop nel ‘94, ‘96 e 2001. Davanti ai giudici hanno parlato anche i legali dell’Associazione giuristi democratici che hanno deciso di costituirsi in giudizio con possibilità di un intervento cosiddetto “ad audiuvandum”. In sostanza, si sostiene che l’effetto abrogativo del referendum “possa essere differito fino all’entrata in vigore della nuova disciplina approvata dal legislatore”. In altre parole, si chiede la concessione di un tenpo più lungo rispetto ai sessanta giorni previsti dalla legge sul referendum entro i quali differire “l’efficacia degli esiti referendari” consentendo così alla politica di riscrivere la legge elettorale. Per questo, hanno sollecitato la Corte a sollevare i dubbi di incostituzionalità rispetto all’articolo 37 (ultimo comma) della legge 352 del 1970 sul referendum che fissa il termine dei sessanta giorni.

Domani dunque il verdetto della Consulta. Dopodomani, quello della politica.