Referendum, l’ambasciatore Usa per il ‘sì’. Il Pd insorge e Di Maio: “Renzi come Pinochet”
13 Settembre 2016
Il ‘no’ al referendum sulla riforma costituzionale “sarebbe un passo indietro per gli investimenti stranieri in Italia”, così l’ ambasciatore Usa in Italia, John Phillips, intervenendo ad un incontro sulle relazioni transatlantiche organizzato oggi a Roma. Proseguendo: “Renzi ha svolto un compito importante ed è considerato con grandissima stima da Obama, che apprezza la sua leadership”.
Ma l’intervento dell’ambasciatore non è piace, in primis, a Forza Italia. “Quella dell’ambasciatore Usa in Italia, più che un auspicio, è un’entrata a gamba tesa ingiustificata negli affari interni dell’Italia, eseguita su delega di un presidente alla fine del suo mandato”, dichiara il senatore di Forza Italia, Altero Matteoli. Che ha poi aggiunto: “Peraltro è fondata su una valutazione errata della riforma costituzionale, che in realtà non produrrebbe, se approvata, gli effetti sperati dal diplomatico. Il bicameralismo, infatti, non si supera e i tempi legislativi rischiano addirittura di allungarsi, mentre si privilegia una presunta stabilità offendendo uno dei principi basilari della democrazia: la rappresentanza”.
E poi è entrato a gamba tesa Di Maio: “Non è un Presidente del Consiglio ma il più grande provocatore del popolo italiano, un Presidente non eletto, senza alcuna legittimazione popolare, che sorride mentre le persone soffrono. Il referendum di ottobre, novembre o dicembre (ci faccia sapere la data, quando gli farà comodo) lui stesso lo sta facendo diventare un voto sul suo personaggio che ha occupato con arroganza la cosa pubblica, come ai tempi di Pinochet in Cile. E sappiamo come è finita”. E’ così che Luigi Di Maio ha infiammato il dibattito politico con lungo post su Facebook in cui paragona il premier Matteo Renzi ad Augusto Pinochet, il dittatore cileno che uscì di scena nel 1990 dopo aver perso il referendum sulla sua persona.
“I suoi comizi sono diventati un problema di ordine pubblico. Le feste de l’Unità, quando le frequenta lui, diventano Fortknox. Mentre lui arringa poche centinaia di persone sulle ragioni – meglio chiamarle bugie – del Sì, il suo Ministro dell’Interno fa manganellare i cittadini, fa allontanare chi sostiene il No ed il tutto viene oscurato sistematicamente dai direttori dei TG che ha appena nominato”, attacca ancora Di Maio che vede “un’escalation di tensione” in atto in vista del referendum e annuncia la sua presenza al programma Politics, dove sarebbe dovuto andare la settimana scorsa, salvo, poi, disdire all’ultimo.
Il Pd, soprattutto i fedelissimi renziani, insorgono contro le sue parole. “L’ex candidato premier dei cinque stelle, Di Maio, scaricato dai suoi per colpa del suo silenzio sui guai della giunta Raggi, farebbe bene a occuparsi delle sue grane, a leggere con attenzione la posta, a studiare bene il passato”, ha attaccato Ettore Rosato, presidente dei deputati Pd invitando il grillino a lasciar stare “paragoni indecenti, provenienti da lezioni di storia appiccicaticce e fatte di luoghi comuni”.
Ma la minoranza dem non è dello stesso avviso. Tra le prime reazioni alla presa di posizione del diplomatico Usa arriva quella di Pier Luigi Bersani: “Le parole dell’ambasciatore americano sono cose da non credere. Per chi ci prendono?”.