Referendum, Marini (Presidente emerito Corte Costituzionale spiega le ragioni del ‘no’
13 Ottobre 2016
Ora che la campagna elettorale per il referendum è partita a tutti gli effetti, lo scontro pare aver assunto i tratti della commedia all’italiana. Il che diventa inevitabile quando nella discussione si infila la comicità nostrana, da Benigni a Crozza per arrivare a Grillo. Proprio il premio Oscar Roberto Benigni, icona della sinistra radical, è diventato bandiera del sì, e immediatamente bersaglio, da destra a sinistra, qualche giorno fa, nel giro di poche ore bersaglio da sinistra a destra.
Tra i sostenitori delle ragioni del ‘no’ sono in tantissimi ad essersi schierati. E non solo esponenti della politica. L’ultimo ad essersi accodato a quanti reputano la riforma costituzionale un vero danno per il Paese, è il presidente emerito della Corte Costituzionale, Annibale Marini. Abbiamo raccolto alcuni dei punti salienti delle sue, personali, ragioni del no.
“Dico subito che la c.d. riforma costituzionale Renzi–Boschi o Boschi–Renzi (secondo quanto più a ciascuno aggrada), oltre ad essere una pessima riforma, è stata singolarmente deliberata da un Parlamento eletto sulla base di leggi dichiarate costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale con la nota, per non dire notissima, sentenza n. 1 del 2014. Quindi riforma pessima e priva della necessaria legittimazione parlamentare.
E ciò spiega come uno dei padri riformatori, che poi è una madre riformatrice, e precisamente l’On. Boschi, abbia di recente affermato, a quanto è stato riportato dalla stampa periodica, che se fosse toccato a lei scrivere la riforma l’avrebbe scritto in modo diverso. E dato il modo in cui la riforma è stata scritta c’è da crederci e confidare che l’On. Madre riformatrice non approverà in sede di referendum una riforma che ha dichiarato di non aver scritto e comunque di non condividere.
In caso contrario, qualche dubbio sulla coerenza dell’onorevole madre riformatrice diventerebbe più che legittimo doveroso”.
Poi una chiosa precisa sulla Costituzione, “si è detto e ripetuto, con una terminologia in verità da concorso di reginette di bellezza, che la nostra Costituzione è la più bella del mondo e per giustificare la riforma che di quella Costituzione cancellava decine di articoli si sono dette due cose.
La prima è che quella bellezza riguarderebbe solo taluni articoli e non altri che, essendo meno belli, potrebbero essere cancellati, ignorando in tal modo il nesso che lega gli uni agli altri.
La seconda, leggermente comica, riguarda gli stessi padri costituenti (quelli veri) che nel varare la Costituzione sarebbero stati consapevoli, secondo i nostri più recenti riformatori, della sua inadeguatezza e avrebbero perciò predisposto un procedimento di revisione.
In tal modo, tuttavia, si è dimenticato che la revisione è un procedimento comune ad ogni legge e non esclusivo della Costituzione.
L’unica legge che non contempla un procedimento di revisione è quella poco recente nota sotto il nome di XII tavole della quale può forse in questa sede prescindersi”.
Per passare alle leggi e al riferimento ad un aumento delle stesso, “che ci verrebbe consegnato dall’ipotetica (e inesistente) semplificazione del lavoro parlamentare è sufficiente osservare che non abbiamo bisogno di più leggi ma di buone leggi e cioè di leggi ben fatte e non già di leggi che richiedano per essere comprese più che l’attività dell’interprete la palla di vetro di un indovino”.
Il presidente emerito ha voluto concludere senza troppi orpelli: “la sola eredità che ci lascia questa riforma è l’amarezza per quelle mancate riforme nel campo della giustizia, del fisco, della previdenza sociale che ci venivano insistentemente richieste dell’Europa e che poi erano quelle che maggiormente servivano al nostro paese”.