Referendum, sicurezza e riforme: è sfida decisiva tra la Lega e il Pdl
14 Aprile 2009
Temi cruciali e date strategiche nell’agenda politica del Pdl. La tabella di marcia che scandisce la ripresa dei lavori parlamentari ha ritmi serrati e soluzioni possibili, ma con variabili almeno per ora difficili da decifrare. E la prossima sarà la settimana decisiva.
Due su tutte le questioni che agitano il centrodestra, in particolare i rapporti Pdl-Lega: il pacchetto sicurezza bocciato alla Camera nella parte che fissa in 180 giorni la permanenza degli immigrati clandestini nei Cie, proprio per effetto del “fuoco amico” (83 deputati della maggioranza assenti, diciassette franchi tiratori nel Pdl) e la data per il referendum elettorale. Dossier decisivi per la tenuta della maggioranza, oltretutto in una fase intensa dell’attività parlamentare se si pensa che il 28 aprile al Senato ci sarà il voto finale sul federalismo fiscale; per non parlare della riforma dei regolamenti parlamentari sulla quale il Cav spinge e che potrebbe tradursi in un nuovo terreno di dialogo tra Pdl e Pd, specie dopo l’ira del Carroccio – finora nel ruolo di pontiere col partito di Franceschini – per il no democrat ad alcune norme del decreto sicurezza. Un varco nel quale il Pdl tenterebbe di inserirsi per bypassare l’alleato leghista riprendendo saldamente nelle proprie mani il timone del confronto.
Misure anti-clandestini. Dalla prossima settimana tra Palazzo Madama e Montecitorio si apre una vera e propria corsa contro il tempo. Due gli obiettivi: da un lato garantire l’approvazione del decreto sicurezza, compresa la norma depennata alla Camera (ma pure il capitolo ronde uscito dal decreto e inserito nel disegno di legge) entro il 26 aprile, giorno in cui se non verrà approvato, il decreto decadrà con la conseguenza, oltretutto, che oltre mille immigrati irregolari lasceranno i Cie; dall’altro riportare la Lega – che su questo minaccia di far saltare il governo – dall’Aventino al campo dell’alleanza. Berlusconi ha già rassicurato Bossi ma oltre l’aspetto politico, l’ostacolo adesso sta nelle pieghe dei regolamenti e dell’iter tecnico da seguire sulla questione che lunedì approderà al Senato per poi tornare, al massimo in due-tre giorni, alla Camera per l’ok definitivo (probabile il ricorso alla fiducia). Certo, il clima resta teso. Dopo lo “schiaffo” incassato in Aula il Carroccio chiede garanzie al Pdl e il ministro Maroni – ancora furibondo – nei giorni scorsi era arrivato perfino a considerare le sue dimissioni.
Referendum elettorale. Quello che rischia di diventare un nuovo “casus belli” ruota attorno alla data, in realtà le ragioni di fondo sono e restano politiche. Il Carroccio vede come fumo negli occhi l’avvicinarsi della consultazione popolare, specie il fatto che il premio di maggioranza non andrebbe più alla coalizione vincente ma al partito col maggior numero di voti che, per questo, potrebbe contare su un numero aggiuntivo di seggi in Parlamento. Nel Pdl invece, lo stesso premier sarebbe intenzionato a usare il referendum come grimaldello per riequilibrare i rapporti di forza col partito del Senatur. Non a caso il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto avverte l’alleato: “Nessuna componente della maggioranza può imporre alle altre le proposte estreme della sua impostazione originaria”.
Il vertice coi fedelissimi nel quartier generale padano di via Bellerio è servito al Senatur per mettere a punto la strategia anti-election day (6-7 giugno insieme al turno di amministrative ed europee) e definire la linea con la quale il Carroccio si presenterà alla ripresa dei lavori parlamentari. Anche in questo caso a sciogliere la riserva sulla data referendaria sarà il premier nel prossimo Consiglio dei ministri (forse il 24 a L’Aquila ma secondo fonti vicine a Palazzo Chigi la decisione potrebbe arrivare già dopodomani).
Sul 7 giugno pesa il veto della Lega (pure qui pronta a impallinare l’esecutivo) nonostante il Cav stia considerando l’ipotesi che consentirebbe di risparmiare diversi milioni (come chiesto dal Pd e dal comitato referendario) da destinare alla ricostruzione dell’Abruzzo e sul piano politico, una ripresa delle relazioni coi democratici, propedeutica al capitolo sulle riforme istituzionali. E se la data intermedia del 14 aprile appare quella più improbabile, anche perché comporterebbe per gli elettori tre domeniche consecutive alle urne come fa notare il portavoce del Pdl Daniele Capezzone, l’indicazione più verosimile alla quale le diplomazie del Pdl stanno lavorando nella mediazione con la Lega è quella del 21 giugno, cioè l’accorpamento del referendum coi ballottaggi delle amministrative. In questo caso lo scoglio da superare è di tipo legislativo dal momento che i referendum devono tenersi entro il 15 giugno (non si esclude una norma ad hoc). Ipotesi sulla quale si sono espressi favorevolmente il presidente dei senatori Pdl Maurizio Gasparri, il vicecapogruppo vicario Gaetano Quagliariello e il presidente della Commissione trasporti di Montecitorio Mario Valducci.
Le riforme. Si parte dal federalismo fiscale che a fine mese (il 28) è al Senato per il voto definitivo, ma in gioco c’è anche la revisione dei regolamenti parlamentari sulla quale spinge il Cav per velocizzare l’iter legislativo ed evitare il rischio di tensioni tra Palazzo Chigi, il Quirinale e l’inquilino di Montecitorio (cioè Fini) su questioni quali la frequenza del ricorso ai decreti legge o alla fiducia. Due dossier che si tengono perché su questi il Pdl intenderebbe riannodare le fila del ragionamento e dell’iniziativa politica con l’opposizione, approfittando del fatto che attualmente i rapporti tra Carroccio e Pd sono ridotti al lumicino. D’altro canto, la Lega che ha già pronta una propria bozza di riforma e sul federalismo fiscale si gioca buona parte dei consensi elettorali, non rinuncerà a far pesare posizioni e voti (magari restituendo al Pdl lo schiaffo ricevuto in Aula una settimana fa) nei due rami del Parlamento.
Tattiche, strategie, equilibri dentro e fuori il Pdl che, di fatto, aprono una nuova fase politica in entrambi gli schieramenti. Con la maggioranza chiamata a dimostrare coesione interna e forza riformatrice. Con l’opposizione alla prova, dirimente, di un approccio non più ideologico ma pragmatico sulle questioni strategiche per il Paese nel rapporto con chi governa e di un’autonomia sempre più marcata dalle “sirene giustizial-populiste” di Tonino da Montenero di Bisaccia. Il dietrofront di Veltroni, appartiene già alla preistoria.