Referendum su Jobs Act, Consulta decide l’11 gennaio. Nodo elezioni per Pd
14 Dicembre 2016
Modificare la legge in vigore, “congelare” il referendum per un anno con il voto anticipato, o individuare una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno. Queste le ipotesi sul tavolo per l’ultimo spauracchio del governo: il referendum abrogativo sul Jobs Act, su cui la Corte Costituzionale si esprimerà l’11 gennaio.
Dopo il via libera, già arrivato, dall’Ufficio centrale presso la Cassazione, a cui spetta controllare la regolarità delle firme raccolte e la verifica formale del quesito, sarà dunque la Consulta, l’11 gennaio, a dichiarare ammissibili i tre quesiti presentati dalla Cgil con 3 milioni e mezzo di firme a sostegno.
I tre quesiti chiedono: l”Abrogazione disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi”( con il ritorno all’art.18), l”Abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” e l’”Abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)”.
I giudici dovranno accertare che il referendum non riguardi materie per cui è espressamente vietata questa forma di consultazione o abbia un contenuto che viola la Costituzione. Per cui, l’ammissibilità dei quesiti appare scontata.
A quel punto, con il via libera della Consulta, il governo dovrà individuare una data che deve cadere in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno: nel 2017 la prima finestra utile cade il 16 aprile, l’ultima l’11 di giugno.
Sempre che non si vada al voto anticipato, perché, in questo caso, la consultazione referendaria verrebbe sospesa e rinviata a 365 giorni dopo il giorno delle elezioni, per evitare una sovrapposizione delle campagne elettorali per le elezioni e il referendum. Inoltre, se il Parlamento modificasse le leggi interessate prima del referendum, la consultazione verrebbe annullata.
“Se si vota prima del referendum il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile. Sulla data dell’esame della Consulta è tutto come previsto”. Così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, sui rischi che il voto sul referendum possa essere un ulteriore problema per il Pd e il governo.
Ed è proprio questo il punto: evitare un nuovo ko referendario. E allora nei palazzi già si pensa a come disinnescare questa nuova mina vagante che sarebbe devastante per il Pd, il governo in carica, ma soprattutto per l’ex premier che il Jobs Act l’ha voluto e ne ha fatto il suo vanto.
Così l’ipotesi del voto anticipato prende forza: si sciolgono le Camere e si va a votare a giugno, magari proprio nell’ultima data utile: quella di domenica 11. In questo caso i quesiti referendari vengono congelati e spostati di un anno.
Certamente sarebbe la via più semplice, ma anche una clamorosa sconfessione delle politiche del governo Renzi, che si aggiungerebbe alla parziale bocciatura della Consulta sulla riforma della Pubblica Amministrazione e su quella delle Banche Popolari.