Referendum: sui brogli all’estero crollerebbe la fiducia nelle istituzioni
13 Novembre 2016
La strategia di Renzi per vincere il referendum sulla riforma costituzionale non sta dando i risultati sperati. Altro che Jim Messina, il famoso guru americano da 400.000 euro, altro che prendere possesso della Rai e di tutti i media, altro che bastone e carota, mancette nella legge di stabilità, foto con Obama o Marchionne, sponsorizzazioni di banche d’affari e capi di stato di paesi più o meno amici. Tutto questo, a meno che i sondaggi non sbaglino grossolanamente (e questo, come si sa, è sempre possibile) sembra avere scarsi effetti sulla crescita del sì, lasciando ancora troppo margine alla vittoria del no.
Vista la situazione, a qualcuno potrebbe venire in mente di ricorrere a un metodo più sicuro ed efficace. Per esempio truccare un po’ le cose. Se il voto non si riesce ad orientare, può sempre essere manipolato, soprattutto laddove è più facile, dove c’è meno controllo e più smagliature nel sistema di voto. Nulla di meglio, quindi, che puntare sul voto degli italiani all’estero. Non si tratta solo delle anomalie che abbiamo visto fin qui, tra cui l’ormai famosa “letterina” del presidente del consiglio, la questione di chi ha fornito gli indirizzi, chi ha pagato e quanto, e come sarà assicurata la “contemporaneità cronologica” con la scheda elettorale di cui ha parlato la ministra Boschi.
Su questo pretendiamo risposte limpide e convincenti, ma per il futuro temiamo anche di peggio.
Le denunce sulla permeabilità del voto estero a brogli e imbrogli sono ormai tante, troppe: sulla stampa leggiamo dichiarazioni di Oscar De Bona, presidente dei bellunesi nel mondo, o di Vincenzo Pessina, coordinatore di FI all’estero, fino al documento pubblicato dal Fatto quotidiano, firmato dall’ambasciatrice Cristina Ravaglia, che lamentava, in tempi non sospetti, come il voto degli italiani all’estero non rispettasse le garanzie costituzionali in materia elettorale, e cioè che il voto sia personale, segreto e libero. In genere, spiega chi ha esperienza, gli italiani all’estero affidano la scheda ad altri, in particolare ai patronati. Il voto nei paesi del Sudamerica può essere addirittura comprato per pochi dollari, denunciano alcuni iscritti all’Aire (il registro degli italiani all’estero); ma l’intera procedura, anche nelle operazioni conclusive, cioè l’apertura delle schede, è fuori controllo. Il bottino è ricco, perché si tratta di circa quattro milioni di elettori: anche se votasse una percentuale bassa, per esempio il 30%, si tratterebbe comunque di un numero che può essere decisivo.
Tutto questo è già accaduto in Austria, dove l’elezione del presidente della repubblica, poi annullata, è stata decisa dal voto per posta, che ha dato risultati in controtendenza e si è rivelato manipolabile. Ed è questa la prova del nove, l’elemento decisivo: se la percentuale di sì o di no di chi risiede all’estero si discostasse in modo eccessivo dal voto italiano, sarebbe evidente che qualcosa non va. Se, mettiamo, tra i sì e i no in Italia si verificasse uno scarto del 2%, sarebbe ammissibile che all’estero lo scarto fosse maggiore di uno o due punti, non di 10 o di 20. Questo va detto subito, e va detto forte: non bisogna esagerare con brogli, pasticci, manipolazioni, perché se uno schieramento vincerà per una forte differenza del voto all’estero, non la fiducia in Renzi, non la fiducia nella politica, ma quella nelle istituzioni, anche ai massimi livelli, crollerà a zero.