Referendum: volete voi il governo delle elite o la democrazia?
02 Ottobre 2016
C’è un passaggio del dibattito sul referendum costituzionale tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky andato in onda venerdì sera su La7 che merita di essere approfondito, perché riguarda il senso stesso che diamo alla parola democrazia. Tema: il combinato disposto tra Italicum e riforma costituzionale. Il premier ci ha raccontato che l’Italia deve diventare come quei Paesi anglosassoni dove il giorno dopo le elezioni si sa chi vinto e chi ha vinto governa. Zagrebelsky gli ha ricordato che in Paesi come la Gran Bretagna governa chi ha vinto le elezioni magari con il trenta per cento dei voti, minoranze che si trasformano in maggioranze.
Non è questione di poco conto. L’Italia in passato godeva di un’alta partecipazione al voto, qui da noi le elezioni si vincevano con percentuali rappresentative delle diverse anime del Paese. La domanda è: gli italiani sono consapevoli che se passa la riforma e non si modifica l’Italicum i prossimi governi che avremo apriranno una ferita nella già malconcia idea di rappresentanza che sta alla base del nostro sistema? Siamo sicuri di voler vivere in un Paese dove i margini di partecipazione democratica si riducono sempre di più e dove molti elettori si rifugiano ormai nel non voto o nella astensione, al massimo premiando le forze alternative ai partiti politici tradizionali?
Se è vero, come ammettono tutti gli esperti, che siamo entrati in un sistema “tripolare”, davvero all’Italia serve ancora un modello di bipolarismo imperfetto? E visto che puntualmente si evoca il “modello francese” vi sembra normale che il partito di Marine Lepen, qualunque sia il giudizio che se ne dia, in Francia non possa avere un’adeguata rappresentanza?
L’idea che all’Italia serve per forza un sistema elettorale bipolare, proprio mentre in Europa questi modelli entrano in crisi, potrebbe ancora avere senso se la nostra fosse una democrazia dove gli avversari si rispettano, in cui il parlamento è il luogo del fair play, “right or wrong, it’s my country”, come dicono negli Usa, ma questo modello in Italia ha dimostrato di non funzionare. Il nostro è stato un bipolarismo “rusticano”, dove le forze politiche, si pensi alla stagione del berlusconismo, si sono selvaggiamente scontrate, aprendo una lunga fase di instabilità nell’equilibrio dei poteri e all’interno delle stesse istituzioni. E le cose non sono cambiate.
Forse è davvero ora di immaginare una legge elettorale che rafforzi la partecipazione, che non sottometta la rappresentanza a una governabilità intesa sbrigativamente come “si deve sapere subito chi ha vinto”. Facile, se uno dei partiti in gara viene magicamente trasformato da perdente a vincitore, da minoranza a maggioranza. Per assicurare la governabilità ci sono mille altri modi, garantendo ai cittadini la piena possibilità di sentirsi rappresentati. Altrimenti, per la più classica eterogenesi dei fini, accadrà quello che è già accaduto a Roma e Torino, e chi si sente escluso voterà inevitabilmente “contro”, cioè per far perdere qualcuno più che per far vincere qualcun altro.