Regionali, Berlusconi al contrattacco: le elezioni non si vincono nei tribunali
09 Marzo 2010
Ci hanno messo più di un giorno per copiare quello che il Tar aveva già deciso. La Corte di Appello ha dichiarato inammissibile la lista per la provincia di Roma presentata dal Pdl sulla base del decreto interpretativo che da sabato è legge. Anche per i giudici dell’ufficio elettorale del tribunale, l’estensione dei termini prevista dalla nuove norme non si applica al procedimento elettorale della regione Lazio in quanto c’è già una norma elettorale sulla quale la legge dello Stato non può incidere.
Con questa decisione i magistrati romani hanno anche reso vano un eventuale ricorso al Tar sulla decisione di ieri e a questo punto la battaglia a colpi di carte bollate potrà proseguire in Consiglio di Stato solo per tentare di rovesciare la decisione del Tar del Lazio di lunedì. Per la seconda volta, il decreto legge per il quale il presidente del Consiglio aveva ingaggiato un difficile confronto con il capo dello Stato e per il quale l’oppoisizione lo aveva accusato di voler "cambiare le regole del gioco a gioco iniziato" è stato considerato dai giudici un inutile pezzo di carta.
Ciononostante – è opinione della maggioranza – che il Consiglio di Stato possa esaminare la questione sotto una diversa prospettiva, rovesciando l’interpretazione dell’articolo 122 della Costituzione su cui si è basata la decisione del Tar e della Corte di Appello romana. Tanto è vero che stamattina il contestato decreto inizia il suo iter alla Camera in commissione Affari Costituzionali con la relazione di Peppino Calderisi. Si procede dunque secondo i ritmi previsti per approvare definitivamente il decreto in vista del match decisivo di fronte al Consiglio di Stato. Fin qui la battaglia legale. Ma è sul piano politico che la giornata di ieri ha riservato le novità più interessanti. E, contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, lo scontro è avvenuto, paradossalmente, in casa dei "vincitori". All’assemblea convocata dai Radicali per fare il punto sulla complessa operazione delle liste, Pannella e Bonino hanno rilanciato la proposta già contenuta in un comunicato dei giorni scorsi: rinviare di un mese le elezioni in tutte le regioni per sanare quella che definiscono l’illegalità nella raccolta delle firme.
Il segretario del Pd Bersani, invece, nel solco della tradizione sostanzialista dei partiti leninisti non ha lasciato alcuno spazio a quell’ipotesi: al voto, subito e senza discussioni, ha tuonato. E’ chiaro il suo intento, ovvero conseguire quel successo che in caso di competizione ad armi pari gli sarebbe precluso e di presentarsi al suo elettorato più intransigente di Di Pietro, più realista della Bonino. Alle parole di Bersani ha immediatamente replicato Pannella secondo il suo classico schema di demolizione sistematica del pensiero dell’interlocutore. Si è aperta così una breccia tra l’orizzonte strategico della coalizione e il protagonismo politico del suo candidato presidente.
In casa Pdl invece, Silvio Berlusconi ha riunito lo stato maggiore nazionale e laziale del Pdl: i tre coordinatori Bondi, La Russa e Verdini, il coordinatore del Lazio Piso, la candidata Polverini a cui si è aggiunto il sindaco di Roma Alemanno. Obiettivo: fare il punto sulla situazione dopo la sentenza del Tar e in attesa del pronunciamento della Corte di Appello (ieri a tarda sera). Dal premier è arrivato un invito a tutti perché la battaglia politica non si trasformi in un contenzioso giuridico. Una strategia considerata perdente sia sul piano procedurale che agli occhi dell’elettorato del Pdl. Di qui la decisione di cambiare totalmente gioco. I ricorsi restano affidati agli avvocati ma cessano di apparire l’unica arma a disposizione del partito. Al centro dell’iniziativa della candidata e del gruppo dirigente del Pdl, invece, la battaglia politica imperniata su due fronti: la denuncia dell’inconcludenza e dell’autoritarismo di una sinistra che cerca solo il potere attraverso la via giudiziaria anche nelle elezioni e il rilancio dei valori, dei programmi e delle iniziative che il Pdl ha messo in campo dal governo e che potrà realizzare alla guida della regione Lazio.
Quello che conta per il premier, non è tanto il risultato conseguito in tribunale quanto, piuttosto, il ritrovare la sintonia con il suo popolo per portarlo comunque al successo anche in assenza della lista dei candidati e del simbolo in cui è scritto "Berlusconi per Renata Polverini". Per segnare questo cambio di passo, l’annuncio di una conferenza stampa insieme alla candidata presidente per lasciarsi dietro le spalle la diatriba su firme, liste, tribunali e ricorsi e ritessere il filo di un programma politico e di una battaglia civile all’insegna della libertà messa in discussione, ancora una volta, dai palazzi di giustizia. Una linea caldeggiata in particolare da Gaetano Quagliariello: "Di fronte a una sinistra che falsa le elezioni estromettendo dalla competizione gli avversari, l’unica risposta è quella di mettere in luce il pericolo autoritario di un loro ipotetico successo e lanciare una grande battaglia politica nel Lazio in nome del diritto di voto e della libertà".
Non sono però sfuggite al premier le contraddizioni aperte nel fronte Bonino-Bersani. E resta sullo sfondo l’ipotesi di una mossa a sorpresa. La linea ufficiale ribadita da tutti è "nessun rinvio" ma non sono mancati quelli che, ieri a Montecitorio, sottolineavano come tra Bersani e la coppia Pannella-Bonino si è aperto uno spazio di possibile manovra. Tra l’altro, non pochi parlamentari, ricordavano come, il giorno dopo le dimissioni di Marrazzo (avvenute il 27 ottobre) fu proprio Berlusconi a dire che le elezioni avrebbero potuto tenersi assieme alle altre regioni anche se il rigoroso rispetto delle regole le avrebbero collocate, al massimo, tra domenica e lunedì scorsi.
Quel gesto di fair play concesso a una sinistra che in quel momento era gravata dal peso delle passeggiate pomeridiane del governatore in via Gradoli – rimarcano nelle file pidielline – dovrebbe oggi essere ampiamente ricambiato da Bersani e i suoi. E in ogni caso, mettere in luce la differenza di stile politico potrebbe ribaltare sulla sinistra tutte le accuse di opportunismo autoritario lanciate a gran voce nei due giorni che hanno portato all’approvazione del decreto.
Intanto a Montecitorio la maggioranza ha vissuto un’altra giornata di disorientamento: a seguito di una doppia sconfitta su un voto procedurale che ribaltava l’ordine del giorno e spostava il voto finale sul decreto sugli enti locali a oggi, non senza qualche malumore nella Lega, attestata in difesa del provvedimento fortemente voluto dal ministro Calderoli. Al centro dei concitati colloqui tra i parlamentari del Pdl, come uscire dall’impasse delle liste, dall’immagine di sbandamento offerta dal partito e rilanciare l’iniziativa politica ed elettorale che sei mesi fa sembrava dovessere essere una marcia trionfale e oggi, invece, si prospetta una possibile debacle. Alcuni poi, facevano notare come il caso Lazio sembra prospettarsi come un ‘comma 22’: "Se vinciamo senza la lista del Pdl – sottolineava uno dei fedelissimi del premier – la corona se la mette in testa Gianfranco Fini forte dell’accoppiata lista Polverini-Udc. Ma se perdiamo, come rischia di essere probabile, la sconfitta sarà tutta caricata sulle spalle di Berlusconi, anche se il disastro è stato opera di altri".
Una prospettiva compresa dal drappello dei finiani che scelgono una linea attendista, pronti a scaricare altrove la responsabilità ed eventualmente a sventolare il vessillo di una riscossa: una vittoria di Renata Polverini senza il Pdl e il suo simbolo in cui campeggia il nome del leader, aprirebbe a loro avviso, la strada anche iconografica alla successione del Cav. Tuttavia, i sorrisi sornioni degli uomini di Fini non hanno lasciato indifferenti alcuni tra i "pretoriani" del premier che distribuivano giudizi impietosi sui responsabili del pasticcio delle liste così come sui fedelissimi del presidente della Camera."Gli uni e gli altri sono l’esempio di come piccoli e miseri opportunismi di potere possono compromettere momenti politici decisivi – chiosava un altro berlusconiano doc -: tutti noi dobbiamo la nostra forza politica allo straordinario consenso di Silvio Berlusconi e faremmo bene a non baloccarci in modeste trame di sottopotere senza neppure esserne capaci".
La battaglia del Lazio è solo agli inizi e dal suo esito dipenderanno tante cose: l’assetto dell’opposizione, la prospettiva della legislatura e anche un nuovo e diverso equilibrio all’interno del Pdl.