Regioni e colori, neanche il tempo di cominciare e già ricambia tutto?
05 Novembre 2020
Trascorsa la notte – al momento di scrivere queste righe siamo a giovedì sera – entrerà in vigore il nuovo dpcm. Con un giorno di ritardo rispetto alle previsioni perché fino all’ultimo non si era venuti a capo della suddivisione delle regioni per fasce di rischio.
Nelle stesse ore si riunirà la “cabina di regia” per l’aggiornamento settimanale dei dati epidemiologici – alla quale partecipano ministero della Salute, Istituto superiore di sanità e tre rappresentanti delle regioni stesse – e nulla di ciò di cui si è discusso per tre giorni potrebbe essere più vero. Già si parla di nuove regioni da blindare, di territori che cambiano colore, di gialli arancioni e rossi che si rimescolano.
Cosa c’è di strano?, obietterà qualcuno. Se la classificazione è legata agli indici di diffusione del virus e ai parametri di tenuta del sistema sanitario, è normale che essa debba periodicamente essere rivista per non rischiare di tenere chiuse Regioni nel frattempo diventate più sane e lasciarne semi-aperte altre nelle quali magari la situazione si sia aggravata.
Ineccepibile, in teoria. Epperò questo governo sembra non aver compreso l’effetto devastante che il senso di incertezza e continua caducità determina sulle persone e sulle attività produttive ancor più delle misure stesse.
Sicché, con un supremo sforzo di fantasia, si sarebbe potuto per esempio far coincidere la prima suddivisione, almeno per una settimana, con la diffusione di dati freschi. Per evitare il paradosso di regole che entrano in vigore il giorno stesso in cui ci si riunisce per cambiarle. Per non sfidare, insieme alla pazienza degli italiani, il senso del ridicolo.