Renzi: addio sogni di gloria (e di marchette)

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Renzi: addio sogni di gloria (e di marchette)

Renzi: addio sogni di gloria (e di marchette)

14 Agosto 2016

Che la ripresa non fosse mai arrivata e che quel minimo di crescita economica determinata da un pizzico di congiuntura internazionale favorevole si fosse già fermata, lo si era capito, nonostante la politica del ‘bicchiere mezzo pieno’ inaugurata dal presidente del consiglio Matteo Renzi. “Deve essere chiaro che l’Italia è cambiata, è ripartita”, andava dicendo tronfio il premier fino a qualche tempo fa, seguito a ruota dal suo ministro del tesoro, Padoan, convinto che “l’importante è la direzione di marcia che è di crescita, dopo tre anni di profonda recessione, direzione confermata e rafforzata nel 2016”, nonostante il Pil crescesse dello zero virgola.

Ma adesso, dopo l’ultima infornata di dati che fotografa una realtà drammatica per l’Italia, con il Pil vicino allo zero a fronte di previsioni stimate intorno all’1,6, la produzione industriale in caduta libera, la disoccupazione giovanile galoppante, un fisco ammorbante e il debito pubblico salito a quota 2248 miliardi di euro, per Renzi non ci sono più scuse. Non ci sono più alibi tipo aspettate gli effetti del Jobs Act o della riforma della pubblica amministrazione. L’Italia è ferma al palo, un Paese immobile che invece di prendere il volo tornando concorrenziale rischia seriamente di andarsi a schiantare – vedi zombie bank e Monte Paschi.

Ovviamente gli italiani sotto l’ombrellone adesso sentiranno ripetersi il solito mantra, la solita soluzione tampone: bisogna chiedere più flessibilità in Europa!, nelle ultime ore lo hanno già dichiarato in buon ordine il vice di Padoan, Morando, il sottosegretario agli affari europei Gozi e il ministro delle infrastrutture Delrio che annuncia una nuova grande politica di investimenti pubblici. Peccato però che fino adesso la flessibilità chiesta da Renzi e ottenuta più volte da Bruxelles – l’Italia ne ha avuta più di chiunque altro – non sia stata usata per una seria politica di crescita bensì sia servita al nostro presidente del consiglio unicamente per ragioni strumentali e di consenso elettorale. E altrettanto rischia di accadere adesso, di fronte a una scadenza – il referendum costituzionale, su cui il premier si gioca tutto – pericolosamente vicina. Vicina nonostante ancora una data non ci sia, e si cerchi di prendere tempo.

Renzi prima aveva detto che gli italiani sarebbero stati chiamati a esprimersi sulla riforma il 6 ottobre, poi la data della consultazione popolare è stata rimandata a dopo la legge di stabilità, sperando, appunto, che con un altro giro di flessibilità strappato alla UE si potessero ripetere le mirabolanti imprese demagogiche tipo gli 80 euro, quelli dati e poi richiesti indietro ai poveri malcapitati che intanto si erano già fatti la pizza e comprato l’ormai celebre zainetto. Insomma, il re è nudo, il gioco di Renzi è scoperto, il premier e il suo governo adesso dovranno pensare a come tappare le falle prima che la montagna che in politica economica (e non solo) ha prodotto il proverbiale topolino non gli caschi definitivamente addosso. 

Addio sogni di gloria, perché Renzi non potrà continuare a usare la flessibilità concessa dalla UE per la sua politica di potere e di consenso, e i sondaggi sul referendum, nonostante tutti i trucchi, non sono confortanti. E il rischio, a quel punto, sarà che l’Italia finisca nel mirino degli speculatori e nelle mani della Troika. Così, mentre diciamo addio alle marchette e alle politiche di spesa tipiche della sinistra renziana, non dimentichiamoci che se si vuole evitare all’Italia di sprofondare del tutto serve una alternativa politica seria e liberale, perché in giro di demagogia sulle ricette economiche, oltre a quella, preminente, dei renziani, ce n’è pure troppa.