Renzi traditore della sua generazione

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Renzi traditore della sua generazione

02 Marzo 2016

La generazione dei quarantenni è stata forse quella che in principio si è lasciata irretire di più dal renzismo. Molti hanno scambiato il premier per uno come loro, un giovane leader pronto a scommettere, rischiare, capace di intuire cosa significa vivere in modo avventuroso e fare scelte coraggiose pur essendo un politico di professione. Il capo di un governo pronto a rivitalizzare il mercato, togliere di mezzo pesi e regole anacronistiche che bloccano la produzione di idee, valore e lavoro, e di fare tante altre cose che sono state promesse. Quei quarantenni avevano ascoltato stupefatti il finanziere amico del premier che dopo aver fatto fortuna a Londra parlava alla Leopolda di merito e competenza, libertà economica e spirito d’iniziativa, prima di essere costretto a un’imbarazzante difesa d’ufficio del governo dopo gli scivoloni presi sulle banche e con una politica tutta orientata alla spesa.

 

A quella generazione di quarantenni Renzi negli ultimi anni ha voluto strizzare l’occhio tante volte, per esempio con la famosa copertina di rotocalco in cui Matteo indossa il chiodo di Fonzie, annunciando giorni felici sull’onda della nostalgia. Beh, il sogno è finito e la nostalgia non basta più a coprire la separazione in atto tra mattatore e matati. Gli ultimi dati ISTAT fanno capire non solo perché gli under 25 hanno mollato il renzismo salpando verso i lidi 5 Stelle, ma anche perché i loro fratelli più grandi hanno riformulato il loro primo giudizio sulla rottamazione, insomma che gli uni e gli altri sono stati buggerati dallo slogan del governo di giovani per i giovani. Categoria astratta, il giovanilismo, che ricade come un mattone sulla testa del premier dopo che ISTAT ha diffuso i dati sulla occupazione. Nella fascia di età sotto i venticinque anni siamo agli ultimi posti in Europa. I quarantenni, soprattutto chi ha la sventura di voler continuare a lavorare in modo indipendente, niente hanno avuto e null’altro devono aspettarsi da questo governo.

 

Il tanto strombazzato Jobs Act per adesso è servito in prevalenza a tenere in pista gli over cinquanta e chi lavorava già. Niente di male, per carità, ma questo dato vorrà pur dire qualcosa. La prima è che le aziende non rischiano e preferiscono tenersi i lavoratori più esperti, del resto per scommettere sui giovani serve uno scenario economico florido e invitante non lo zero virgola di Pil spacciato dal premier come l’ennesimo capolavoro. La seconda è che, se la maggior parte degli assunti tali non sono perché si tratta di posti di lavoro già esistenti che si sono trasformati nei nuovi indeterminati, allora il Jobs Act è una legge come un’altra, forse migliore di altre, ma non sufficiente a far ripartire l’Italia. A questo aggiungiamo che il macigno del debito pubblico resta inalterato, che la legge di stabilità avrà bisogno di altri aggiustamenti, che il tasso di disoccupazione in generale è ancora ben al di sopra della media Ue.

 

Un giornalista attento ai numeri come Franco Bechis ieri ha mostrato che l’Italia di Renzi rispetto a quella di Letta ha perso preziose posizioni in Europa. Nell’ultimo anno dovevamo galoppare spinti anche da una congiuntura internazionale favorevole come quella determinata dal basso costo delle materie prime ma non solo non siamo riusciti ad andare al trotto bensì segniamo il passo. Dicono che il premier sia capace di percepire l’umore dell’elettorato anni luce prima che si traduca in voti e sappia quindi regolarsi di conseguenza. Vedremo, ma i dati Istat su cui adesso ci si arrovella e l’insoddisfazione di giovani e meno giovani verso il governo si trasformerà presto in un boomerang. Se avremo la conferma, e i presupposti ci sono tutti, che il renzismo è stato solo l’ennesimo concorsone nella scuola pubblica e una manciata di bonus per diciottenni, si aprirà una spaccatura insanabile tra rottamatore e rottamati, Renzi e i quarantenni, Renzi e i ventenni, Renzi e tutti quelli che sentendosi traditi da uno "come loro" si prenderanno la rivincita nelle urne, una buona volta.