Requiem alla credibilità del socialismo di Zapatero

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Requiem alla credibilità del socialismo di Zapatero

20 Novembre 2008

Il G-20 di Washington del 15 novembre ha messo in evidenza in modo impietoso lo scarso peso della Spagna in politica estera. Alla Casa Bianca il presidente Bush ha accolto i venti capi di stato delle nazioni più potenti. Ma la Spagna, nonostante sia la decima potenza mondiale, ha rischiato di non essere presente all’appuntamento. Zapatero evidentemente non era un ospite gradito. Se ne è avuta conferma quando, nel giardino della Casa Bianca, l’unica bandiera che non sventolava era quella  giallorossa. Il premier spagnolo per essere presente si è dovuto dimenare come non mai ed è riuscito a ottenere il biglietto di invito solo quando la Francia le ha ceduto uno dei due seggi che le spettavano di diritto, come membro del G8 e come rappresentante dell’Unione europea.

Sembra proprio che la conquista della poltrona e la presenza tra i big dell’economia globale sia costata cara a Zapatero. Il biglietto per partecipare al vertice non solo richiede un’economia influente ma presuppone un riconoscimento e una credibilità internazionale che, a quanto pare, la Spagna ha perso da un bel po’. Ad anticipare la caduta del modello spagnolo come “esempio di sviluppo economico e sociale” è stato il mancato invito al mini-summit europeo del 4 ottobre. In quella occasione i capi di stato di Berlino, Roma, Parigi e Londra, si erano incontrati per decidere sulle posizioni comuni da adottare contro la crisi finanziaria, lasciando fuori la Spagna. La stessa nazione che, una decina di giorni prima, davanti agli imprenditori americani, veniva proclamata per bocca di Zapatero “l’economia più solida del mondo”.

Pieno di sé, il premier spagnolo ha annunciato che il Paese è sopra la media europea per reddito pro capite. Né si era lasciato scappare che il sorpasso dell’Italia “ha fatto deprimere molto il primo ministro Berlusconi”. Come se non bastasse ha aggiunto che “in realtà, il mio obiettivo è quello di superare la Francia, anche se l’amico Sarkozy non vuole neanche sentirselo dire”. Peccato che la crisi internazionale abbia fatto scoppiare la bolla di sapone dell’economia spagnola svelando le stime reali della crescita iberica.

La recessione ha gettato anche la Spagna in una crisi profonda: crescita dell’1,4% nel 2008, e non del 3,5% come annunciato dal governo Zapatero poco prima della crisi. Un dato che riporta il Paese agli stessi risultati di crescita del 1993 e, a differenza degli altri paesi europei, con quasi 3 milioni di disoccupati. Un progresso economico “dopato” dagli aiuti europei allo sviluppo, investiti quasi esclusivamente nell’edilizia, un settore in forte perdita già dai primi mesi dell’anno (molto prima della crisi internazionale).

A sostenere la presenza spagnola all’incontro di Washington non sono bastate né le richieste del re Juan Carlos né gli interventi del presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, e della Commissione Europea, Durão Barroso. E neppure i frequenti “viaggi lampo” da un lato all’altro del globo – da Pechino al Brasile, passando da Bruxelles e Parigi – che il capo del governo spagnolo ha realizzato in meno di due settimane.

A quanto pare, a far cambiare la situazione è stato un assegno in bianco staccato dallo stesso Zapatero a Sarkozy. La notizia è apparsa sul giornale “Le Figaro”, citando una fonte vicina al presidente francese: il premier spagnolo avrebbe offerto “qualsiasi cosa per poter partecipare alla riunione”. Detto fatto: Sarkozy avrebbe ceduto uno dei suoi due seggi proprio a Zapatero. E, tornato vittorioso da Washington, il capo del governo spagnolo ha sottolineato il suo ruolo essenziale nel vertice, “nonostante gli sforzi sostenuti per riuscire a esserci”.

Uno sforzo che l’opposizione spagnola ha attribuito al presidente francese: “Si è mostrato il migliore ambasciatore che abbiamo e un potenziale ministro degli Affari Esteri”, ha ironizzato Soraya Sáenz de Santamaría, portavoce del gruppo popolare al Congresso dei Deputati. L’opposizione accusa Zapatero e il suo governo di aver dovuto “mendicare il sostegno” a causa “dell’assurda e dilettantesca politica estera” che gli impedisce “di essere preso sul serio in tutti i vertici internazionali”.

Il governo socialista respinge le accuse e punta il dito contro Bush. Il presidente americano si sarebbe opposto alla presenza di Zapatero nel Summit come una “ripicca”, sia per la brusca ritirata delle truppe spagnole dall’Iraq nel 2004, sia per la politica fortemente socialista sostenuta da Zapatero. Un giudizio non molto lontano dalla realtà se si pensa che il primo ministro spagnolo aveva preannunciato che la sua presenza al Vertice era essenziale per “dare voce alle idee socialdemocratiche affinché si concluda il ciclo storico delle ideologie neoliberali e neoconservatrici”. E non a caso le prime e le ultime righe del suo discorso sono state: “E’ giunto il momento per le politiche socialdemocratiche”.

Al di là delle grandi ambizioni di Zapatero, dal vertice non è scaturita nessuna rivoluzione socialista bensì un consolidamento del sistema liberale. Dagli accordi di Washington, infatti, resta il fatto che il capitalismo e il mercato sono punti di riferimento per la gestione dello sviluppo economico anche se con “riforme” per la trasparenza del sistema finanziario e con misure per stimolare la crescita dell’economia globale. Con la coda fra le gambe, la Spagna è ritornata da Washington non più tanto spavalda ma sicuramente ha imparato una grande lezione: il posto in platea si può comprare, ma la credibilità internazionale non ha prezzo.