Ricercatrice libica “istiga al terrorismo” ma lascia il carcere

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Ricercatrice libica “istiga al terrorismo” ma lascia il carcere

24 Dicembre 2015

All’uscita dal carcere Pagliarelli di Palermo, Khadiga Shabbi, la dottoranda libica arrestata e poi rilasciata con obbligo di dimora per istigazione al terrorismo, dice "lasciatemi in pace, io non c’entro niente con L’Isis. Fatemi andare a casa". "Non si uccide in nome della religione," aggiunge, dicendo di amare la Sicilia, di sentirsi italiana, di non essere una terrorista. "Non sono una persona cattiva. Io sono contro l’Isis. Le mie pagine su Facebook non inneggiano all’organizzazione terroristica, ma documentano quanto sta accadendo in Libia, quella guerra che nessuno conosce veramente". La donna è stata fermata per aver "pubblicamente istigato a commettere più delitti in materia di terrorismo e per avere pubblicamente fatto apologia di più delitti della stessa specie", ma subito dopo scarcerata dal Gip che ha respinto la misura cautelare chiesta dalla Procura, "per difetto dei presupposti di legge", sollevando un vespaio per la sua decisione.

 

Secondo fonti investigative, la donna sarebbe collegata ai foreign fighters libici di Ansar Al Sharia, che hanno rivendicato più di un attentato dall’altra parte del Mediterraneo. Un suo giovane parente, che avrebbe fatto parte di Ansar Al Sharia, è morto durante un bombardamento su Bengasi. Secondo quanto si apprende, il giovane, Abdelrazeq Fathi, 20 anni, era pronto a tornare in Italia con la zia a fare da facilitatore.  Sempre secondo gli inquirenti, il giovane aveva chiesto alla parente "istruzioni per raggiungere l’Italia con un compagno di armi e sfuggire così alla possibile cattura da parte dell’esercito regolare". Su Facebook lo vediamo "in abiti militari, a bordo di veicoli pick up, con giubbino antischeggia ed elmetto". Ed è Facebook ad essere finito sotto la lente di ingrandimento della Digos.

 

"Dio bruci il suo cuore come lui ha bruciato il mio cuore", avrebbe scritto la Shabbi il 19 maggio scorso a proposito della morte del nipote. Secondo il gip, Shabbi "intratteneva alcuni rapporti via Facebook con alcuni siti di propaganda jihadista, chiedendo pubblicamente alla Brigata Al Battar, di vendicare la morte del nipote, e ricevendo pubblica assicurazione in tal senso". Ancora, insulti e minacce via web a un’altra donna che aveva criticato le organizzazioni islamiste. Quest’ultima, spaventata, avrebbe chiesto l’intervento di un parente per calmare la Shabbi. Sempre secondo il gip di Palermo, Ferdinando Sestito, la donna usava "strumenti informatici o telematici e segnatamente Facebook, condividendo sul suo profilo e sulle pagine del social network relative ad altri gruppi, sia aperti che chiusi, nonché creando creando delle pagine Facebook ad hoc, materiale propagandistico delle attività svolte da gruppi islamici di natura terroristica, sia di tipo documentale che video-fotografico" materiale sulla guerra, sui miliziani, di propaganda. 

 

Digos e Polizia hanno fatto ancora una volta bene il loro lavoro e vedremo se in tribunale la Shabbi sarà giudicata davvero una "jihadista da tastiera", come li chiamano gli esperti, oppure se, come dice lei, ama il nostro Paese e non farebbe mai niente di male a nessuno. Fatto sta che quanto avrebbe scritto su Facebook è a dir poco preoccupante, considerando quello che sta avveneno in tante città europee. Da qui la presa di posizione del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, che ieri ha detto: "rispettiamo la decisione del giudice ma credo che ci fossero forti e fondati elementi per la conferma della custodia cautelare". La procura di Palermo ha già fatto sapere che impugnerà la decisione del gip davanti alla Cassazione. Sempre secondo quanto filtrato dalla procura, Shabbi sarebbe imparentata con esponenti dell’organizzazione terroristica dietro l’attentato all’ambasciata Usa in Libia nel 2012, avrebbe avuto dei contatti con due foreign fighters del Belgio e del Regno Unito. La custodia cautelare, secondo Lo Voi, è "del tutto inadeguata alle esigenze cautelari e all’intensissima rete di rapporti intrattenuti dall’indagata".

 

Sul caso è intervenuto il ministro della giustizia Orlando: "Ci troviamo di fronte a vicende che fanno discutere perchè i numeri cominciano a aumentare e questo vuol dire che la normativa funziona e i reati introdotti sono quelli contestati", ha detto il ministro. "Rispettando la valutazione del giudice, non è stata una pronuncia nel merito delle contestazioni ma sulle misure, se l’arresto fosse necessario o fosse sufficiente l’obbligo di dimora: ma non è che qualcuno ha ritenuto che non ci fosse il presupposto e si è già celebrato il processo".