
“Ricordo l’odore della morte e i corpi senza vita di madri, padri e figli”

12 Settembre 2011
"Quel giorno era un giorno come tanti, iniziato con un cielo azzurro di un bellissimo settembre", ci dice Enzo Ardovini, nato in Italia, a Ceccano (Lazio) e trasferitosi adolescente negli Stati Uniti con la sua famiglia. E’ architetto di passaporto statunitense, ed ha partecipato ai soccorsi a Ground Zero nelle ore e nei giorni seguenti all’attacco. "Volevo mettere al servizio del mio paese e dei vigili del fuoco la mia esperienza di costruttore. Inizialmente hanno provato a trattenermi ma poi sono riuscito a partecipare a una squadra di soccorsi." Ardovini ha pagato una grande prezzo per la sua generosità: "A Ground Zero mi sono rotto la spalla e ferito le gambe. Un componente della nostra squadra ha perso l’equilibrio e cadendo ha trascinato giù tutto il gruppo. Otto anni dopo i medici hanno scoperto che il fumo tossico che respiravo a Ground zero mi ha danneggiato il cervello. Oggi ho una malattia senza cura, una forma di demenza". Questa è la sua piccola grande storia di eroicità.
Oggi, 11 settembre 2011, segna i dieci anni trascorsi dall’attacco al World Trade Center. A Roma i ragazzi di Atreju hanno avuto l’occasione di ascoltarla. Lei ha vissuto da vicino l’attacco delle Twin Towers e ne paga ancora oggi il prezzo. Ci parli del suo 11 settembre.
Quel giorno era un giorno come tanti, iniziato con un cielo azzurro di un bellissimo settembre. Facendo colazione, in cucina, passava alla radio un programma liberal, che mi rendeva un po’ nervoso perchè non condividevo niente di quello che si diceva, ma poi pensavo a quanto fosse grande il mio paese adottivo dove la libertà di poter dire quello che si pensa non è mai messa in discussione. Una libertà che ha attratto molti immigranti come mio padre e come me.
Lei è nato in Italia?
Sono nato a Ceccano, in Lazio. Mio padre ha deciso di trasferire la famiglia negli Usa quando ero adolescente. Grazie alla libertà di cui ti dicevo, ho potuto studiare e diventare architetto.
Torniamo a quella mattina.
Stavo guidando, il traffico ha iniziato a farsi caotico e molti accostavano per sentire le notizie alla radio con più attenzione. Nei volti delle persone vedevo lo sconforto e lo stupore. Sono tornato a casa, ma non sono riuscito a dormire al pensiero che molti volevano lasciare la città per paura di nuovi attacchi e allora sono andato a ground zero. Volevo mettere al servizio del mio paese e dei vigili del fuoco la mia esperienza di costruttore. Inizialmente hanno provato a trattenermi ma poi sono riuscito a partecipare a una squadra di soccorsi.
Come è andata a Ground Zero?
Mi ricordo il silenzo quando siamo scesi sotto le macerie, in netto contrasto con il caos dei mezzi di soccorso che cercavano di placare l’incendio: sopra una zona di guerra. Sotto una zona di morte. Tantissimo fumo. E poi i cadaveri: mani, piedi, brandelli di corpi di persone che una volta erano state madri, padri o figli.
Oggi vivi di nuovo in Italia. Come ti trovi?
Non ho pensieri, stress, e nessuna preoccupazione. L’Italia mi sta aiutando ad affrontare una malattia che non perdona. I medici mi dicono che in un anno non ci sono stati avanzamenti, io credo che sia l’aria italiana, il panorama sul golfo di Gaeta che scorgo dalla mia casa, la mia famiglia e i miei amici.
Appunto, se vuoi, parliamo della tua malattia.
A Ground Zero mi sono rotto la spalla e ferito le gambe. Un membro della nostra squadra ha perso l’equilibrio e cadendo ha trascinato giù tutto il gruppo. Otto anni dopo i medici hanno scoperto che il fumo tossico che respiravo a Ground zero mi ha danneggiato il cervello. Oggi ho una malattia senza cura, una forma di demenza. Gli esami mostrano una riduzione massiccia del flusso ematico cerebrale nelle regioni frontali e temporali. A 10 anni da uno dei più grandi disastri umanitari nella storia degli Stati Uniti esistono poche ricerche in grado di documentare le conseguenze che l’attacco ha causato nelle persone coinvolte nei soccorsi. Io sono stato il primo ad avere avuto questa diagnosi ma sono sicuro di non essere l’unico.
Una dura convivenza quindi?
La mia era una professione esigente. Un architetto, un costruttore, che parlava 3 lingue straniere. Mantenevo non solo la mia famiglia, ma essendo il titolare di una impresa con 21 persone a carico, io mi sentivo responsabile per tutti i miei dipendenti e per le loro famiglie. Oggi ho tanti problemi. Ho dimenticato il mio vocabolario. Mi sono perso molte volte mentre cercavo di tornare a casa. Mia moglie Susan è la mia assistente. Il mio cane è il mio migliore compagno. Le attività sociali un peso. E’ stato un lungo cammino. Il mio modo di affrontare questo handicap è quello di combattere. Nuova dieta, esercizio fisico quotidiano, esercizi di memoria. Susy e io leggiamo tutti i quotidiani e ci documentiamo su questa malattia. Partecipo a convegni. Viaggio, studio, leggo. Il 20 di giugno abbiamo celebrato sei anni di matrimonio. Molte mattine io mi sveglio mentre Susy dorme come un angelo accanto a me e penso: ma come ho fatto a finire con questa donna? Non è giusto che lei debba rimanere legata ad una persona che ogni giorno che passa peggiora fino a che una mattina mi sveglierò e dirò: ma chi è questa donna vicino a me? Beh, l’ho chiesto a Susy e lei ha risposto che mi ama.
L’esperienza di Ground Zero ha influito nella scelta che l’ha visto impegnata in prima persona nei Tea party in Florida?
A partire da quel giorno maledetto tutti fummo costretti ad abbandonare il senso di assoluta sicurezza che pensavamo offrissero le società occidentali e ad accettare la convivenza col senso di pericolo imminente. Non ho più fiducia in uno Stato che ci dovrebbe proteggere e invece spreca inutilmente fin troppe risorse che noi abbiamo guadagnato con la fatica del nostro lavoro.
Come è nato il Tea party in Florida?
Il nostro tea party è nato con l’aiuto di Glenn Beck nel 2009, quando Glenn propose di organizzare delle tappe in preparazione di una mobilitazione a Washington. Io e e mia moglie avevamo un piccolo ristorante con 34 coperti, avevamo paura che alla nostra tappa non partecipasse nessuno: alla fine la polizia locale è dovuta intervenire per deviare il traffico perché quel giorno erano presenti più di 340 persone. Abbiamo cominciato a dare supporto ai canditati che avevano nostri stessi valori, aiutando Marco Rubio a vincere la poltrona al senato e Rick Scott a vincere l’incarico di governatore della Florida.
Rubio e Glenn Beck, che tipi sono?
Marco Rubio è giovane, viso da attore hollywoodiano, brillante, intelligente. Sa come toccare il cuore degli americani, parla bene, è convincente, promette molto, anche se forse non potrà mantenere. Glenn Beck per noi è stato un amico che non ha esitato al momento che noi avevamo bisogno di un aiuto. Credo fortemente nei suoi nove principi.
Quali sono?
Che l’America è buon paese, non perfetto, ma buono. Io credo in Dio ed è il centro della mia vita, e per questo devo sempre cercare di essere una persona più onesta di quanto lo sia stato il giorno prima. Per me la famiglia è sacra: mia moglie ed io siamo la massima autorità al di sopra del governo. Se infrangi la legge devi pagarne il prezzo. La giustizia è cieca e nessuno è sopra di essa. Ho il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, ma non vi è alcuna garanzia che tutti ottengano risultati uguali; io lavoro duramente per avere ciò che ho e voglio condividere i frutti del mio lavoro con chi voglio. Il Governo non può costringermi a essere caritatevole. Non è antiamericano per me essere in disaccordo con l’autorità o di condividere la mia opinione personale con altri. In conclusione: il governo lavora per me. Non rispondo a loro, sono i politici che rispondono a me.
Cosa ti pare dei Tea Party italiani?
Sono giovani, però il momento è quello giusto. Forse ci vorrebbe un nome più evocativo, che rimandi ad un evento storico importante per la vostra nazione, come il Risorgimento.
Leggi l’articolo testimonianza scritto da Enzo Ardovini in prima persona sul suo blog
*Riccardo Maria Cavirani è membro e attivista del movimento Tea Party Italia.