Rifondazione Comunista, che delusione!
03 Dicembre 2007
Che
delusione il Prc! Il partito di Franco Giordano (pardon: di Fausto Bertinotti)
ha gestito malissimo la vicenda del protocollo del 23 luglio, prima, del
disegno di legge, poi. Avrebbe potuto trasformarla in un successo per la sua
posizione politica; ha finito per essere coinvolto in una clamorosa sconfitta,
resa ancor più grave dalla decisione di votare comunque il provvedimento, una
volta posta la questione di fiducia. Eppure la legge che recepisce e dà
attuazione al protocollo, essendo una sciagura per il Paese, è perfettamente in
sintonia con il programma elettorale (anch’esso sciagurato) dell’Unione. Poi –
si sa – poteva anche andare peggio. Anche i terremoti vengono misurati secondo
una scala di intensità. Ma questa constatazione potrà consolare Lamberto Dini e
la sua pattuglia di liberaldemocratici, in cerca di visibilità anche a costo di
mentire a se stessi in merito alla loro azione in difesa dei conti pubblici. Ma
chi esamina i fatti con un minimo di obbiettività deve prender atto di quanto
sta avvenendo in questi giorni (sempre che al Senato non si verifichi un
qualche imprevedibile incidente): lo “scalone” è stato rivisto; il nuovo
sistema (un mix di gradini e c.d. quote) sarà eluso ed aggirato grazie alla
disciplina dei lavori usuranti (nel periodo transitorio basteranno 7 anni di “usura” negli ultimi 10). Per quanto riguarda il lavoro è stata
introdotta una sfilza di deleghe che potranno consentire un’ampia modifica
della legge Biagi, è stato abolito (con un atto di luddismo legislativo) lo staff
leasing e solo un tardivo barlume di saggezza ha consentito di mantenere,
attraverso le forche caudine della contrattazione collettiva, il job on call
in alcuni settori dove questo rapporto è utile nell’interesse dei lavoratori.
E’ divenuto più severo il ricorso al lavoro a termine. Tale scelta potrebbe
essere ritenuta giusta soltanto se fosse chiarito che, alla fine dei 36 mesi,
non è detto che vi sarà un’occupazione “stabile” in più, ma che, al
contrario potrebbe esservi un posto di lavoro in meno.
Sul
versante della copertura finanziaria della maggiore spesa pensionistica, il 70%
delle entrate graverà per metà sul lavoro parasubordinato (un’iniquità
perversa); sul fantasma della razionalizzazione degli enti previdenziali, per
l’altra metà. A quest’ultimo proposito, nel corso di un’audizione parlamentare,
la Ragioneria Generale ha dichiarato – è bene sottolinearlo – che “eventuali economie derivanti
dall’operazione di accorpamento degli enti non possono essere utilizzate per la
copertura finanziaria di nuove spese nel senso che gli eventuali risparmi di
spesa derivanti da tale operazione non possono essere utilizzati come fonte di
copertura per eventuali disposizioni recanti oneri certi, derivanti ad esempio
dal potenziamento delle tutele e dei diritti soggettivi nell’ambito delle
prestazioni sociali”.
Ma
se questa è la realtà, perché il Prc si è infilato nel cul de sac di
un’opposizione impotente? Evidentemente questo partito non solo non ha una
cultura di governo, ma neppure è in grado di riconoscersi in un’iniziativa che
sappia coniugare obiettivi e azione politica. Tanto che viene da pensare che la
propensione per una legge elettorale alla tedesca nasconda, nei neocomunisti,
la voglia di liberarsi dall’ossessione di doversi coalizzare con altre forze
per avere una presenza parlamentare di un certo peso nel sistema bipolare
all’italiana (rischiando così di vincere le elezioni e di essere costretti a
governare).
Dove
e quando hanno sbagliato i rifondatori?
Fin dall’inizio. Poi sono stati vittime di una coazione a ripetere,
incalzati anche dalle provocazioni del PdCI.
Giordano e Ferrero hanno avuto la
possibilità di mettersi al riparo dell’intesa tra le parti sociali e dell’esito
del referendum. Hanno preferito invece reggere il sacco alla Fiom, senza capire
che questa linea conduceva alla improbabile destabilizzazione del gruppo
dirigente confederale della Cgil. Poi hanno proseguito lungo tale strategia
mettendosi in concorrenza, durante la “fase legislativa”, con i sindacati
e la Confindustria, senza rendersi conto che, messo alle strette, Prodi avrebbe
scelto Epifani e Montezemolo. Le confederazioni sindacali (azioniste di
riferimento dell’esecutivo) non hanno mai perdonato a Prodi le concessioni che
– da presidente del Consiglio del suo primo governo – fece, in un faccia a
faccia con Bertinotti nel 1997, proprio sulle pensioni (le c.d. deroghe per
operai, equivalenti e precoci). E non avrebbero mai consentito di essere
scavalcate a sinistra un’altra volta.