Rifondazione si spacca ma (per ora) non si scinde: vince Ferrero

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Rifondazione si spacca ma (per ora) non si scinde: vince Ferrero

28 Luglio 2008

Rifondazione comunista svolta a sinistra, verso “il comunismo” e “l’anticapitalismo”. Il settimo congresso di Chianciano Terme si è chiuso con un ritorno all’antico ma soprattutto con l’elezione a segretario dell’ex ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, che così alla fine ha avuto la meglio sul governatore della Puglia, Nichi Vendola. Un risultato giunto dopo giorni di grandissima tensione dove più volte si è sfiorata la rissa. E lo stesso responso finale riflette l’immagine di un partito spaccato a metà dove Vendola potrà contare su oltre il 47 per cento dei consensi interni. Sull’altro fronte, invece, Ferrero dovrà fare i conti con le ali più radicali del movimento che certamente ne condizioneranno il cammino politico. In pratica quello che tutti temevano si è verificato. L’unico pericolo fino ad ora evitato, ma non certamente scongiurato, è stato quello della scissione che per la verità in molti ieri pomeriggio avevano temuto soprattutto quando verso ora di pranzo Vendola aveva deciso di ritirarsi dalla corsa a segretario. Un annuncio fatto quando ormai era chiaro che quel 50 per cento più uno dei voti dei delegati sarebbe rimasto un miraggio per il governatore pugliese. Un colpo durissimo per colui che molti consideravano da mesi il nuovo segretario, tanto che tutto l’establishment del partito e primo fra tutti lo stesso Fausto Bertinotti si erano schierati dalla sua parte. Ma alla fine probabilmente proprio questo ha penalizzato il governatore che, anche se forte del 47,2 per cento dei consensi, non è riuscito a conquistare la maggioranza. Un voto, quindi, che in primo luogo deve essere letto contro Bertinotti ed i suoi seguaci piuttosto che di sfiducia rispetto allo stesso Vendola. In realtà però sono in molti a pensare che in questa fase di confusione e di netta spaccatura del partito l’ex presidente della Camera possa ritornare a vestire un ruolo decisivo e centrale nel partito come mediatore tra le due parti. Prospettive a parte il dato che emerge da questo settimo congresso è appunto la vittoria di Ferrero. Una vittoria di misura, con solo otto voti di vantaggio 142 sì e 134 no, e resa possibile dal sostegno dei gruppi più radicali all’interno del partito. Un accordo raggiunto nella notte tra sabato e domenica e che consentirà l’ingresso nella segreteria in posizione di forza ai trotzkisti di Claudio Bellotti, alla corrente di “Essere Comunisti” ed infine ai componenti dell’Ernesto, la minoranza di Fosco Giannini che al congresso si era presentata con la mozione “Per rilanciare il conflitto sociale”. Minoranze che certamente condizioneranno pesantemente la linea politica di Ferrero ed i futuri assetti della sinistra. “La fine di Rifondazione comunista” ha a caldo commentato Vendola per il quale la vittoria di Ferrero “non è un colpo mortale, ma una battuta d’arresto molto pesante”. Analisi legata alla considerazione che il partito è oramai in mano “a un guazzabuglio di culture minoritarie: si è fatto in modo di creare con l’appoggio delle altre minoranze una maggioranza informe coinvolgendo gruppi come “Falce e martello”. E’ una maggioranza precaria, piena di ambiguità e costruita con formule di equilibrismo grazie a un gioco che consente a quattro mozioni di coalizzarsi contro quella che ha guadagnato la maggioranza relativa”. Da qui per Vendola “un esito innaturale e a-democratico del Congresso”, visto che lui stesso aveva raggiunto con il proprio documento il 47,7 per cento dei voti dei delegati e oltre 1.500 voti non ammessi. E soprattutto la convinzione che “questa maggioranza sia nella scena politica europea che nazionale farà delle scelte di marginalità estremista e residualità”. Parole molto dure che però non segnano la decisione di uscire dal partito nel quale Vendola vuole agire come leader di una minoranza ampia e compatta: “Non c’è abbandono, non c’è scissione: a settembre l’area che fa capo alla mozione numero 2, che prenderà il nome di “Rifondazione per la sinistra”, convocherà la prima manifestazione e si doterà di strumenti di lotta politica e di informazione. Da questa sconfitta noi ripartiamo: nelle sconfitte c’è sempre il seme del futuro”. Parole confermate anche dagli altri protagonisti vicini a Vendola come l’ex capogruppo alla Camera, Gennaro Migliore che spiega: “Noi abbiamo fatto la storia di questo partito, non ce ne andiamo, faremo un’opposizione ampia e larga dentro il partito per portare avanti il nostro progetto di unità a sinistra”. Dagli sconfitti al vincitore, a quel Paolo Ferrero accusato di essere espressione di una maggioranza rabberciata per l’occasione e che adesso avrà il delicato compito di guidare un partito diviso esattamente a metà. Timori ed accuse che lo stesso Ferrero rispedisce al mittente spiegando che “non è vero che il nostro è un progetto senza respiro. Il documento che è stato approvato deve essere la nostra bussola e io mi impegno per una gestione unitaria del partito”. Gestione unitaria, quindi, per l’ex ministro che però non manca di lanciare stoccate a Vendola il quale lo aveva accusato di “leaderismo”. E così Ferrero replica: “Il compagno Vendola ha detto che sono un furbino, perchè dopo le responsabilità di governo e nel partito mi sarei chiamato fuori. Ho colto un giudizio morale, ma rivendico di aver ammesso, dopo la sconfitta elettorale, di aver sbagliato”. Intanto però si inizia a guardare anche all’esterno ed alle strategie politiche da attuare. In questo senso Ferrero sembra avere già le idee chiare anche se dovrà fare i conti con i suoi alleati: “Si riparte da Rifondazione per oggi e per domani. Il progetto non è un partito settario, ma che prova a dialogare. Dobbiamo riscoprire inoltre il valore sociale, perchè abbiamo perso le elezioni, perchè la sinistra era fuori dalla società e noi dobbiamo rimetterla nella società. La nostra scelta non è il rifugiarsi in un fortino, vogliamo ripartire dai problemi reali della società e magari con meno apparizioni in tv”. Un ritorno quindi al movimentismo, alla piazza che potrebbe preludere un autunno per il governo alquanto caldo soprattutto se a questa ripresa dell’iniziativa politica comunista si saldassero spezzoni del movimento sindacale. Strategia che inoltre scava un fossato con il Pd al quale, anche senza chiamarlo in causa direttamente, manda a dire: “Dobbiamo avere un nostro progetto politico, autonomia e smettere di essere minoritari e chiedere a qualcun altro di fare ciò che tu non sei in grado di fare”. Autonomia che significa la fine di qualunque ipotesi di accordo con il Partito Democratico al punto che qualcuno ipotizzava anche un’uscita immediata da tutte le giunte dei vari enti locali. Ipotesi, poi, smentita dallo stesso Ferrero. Rettifiche a parte il problema però resta e soprattutto sarà ben difficile alle componenti più radicali, da sempre contrarie a commistioni con il Pd, sposare qualsiasi progetto di alleanza o anche soltanto di desistenza con i democratici. Un segnale per Massimo D’Alema il quale guardava con interesse a sinistra e che adesso sarà costretto a rivedere tutta la sua strategia. Mentre può sorridere Walter Veltroni al quale il voto di Chianciano Terme può solo fare bene, confermando la sua politica di autonomia dalla sinistra e convincendo sempre di più l’elettorato di riferimento che a sinistra del Pd non c’è che radicalismo ed intransigenza. A Paolo Ferrero, invece, il durissimo compito di smentire Veltroni dimostrando che a sinistra del Pd c’è spazio per la politica e non solo per l’ideologia.