Riforma elettorale: Berlusconi tiene l’Unione sulla corda

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Riforma elettorale: Berlusconi tiene l’Unione sulla corda

07 Settembre 2007

L’accordo di Gemonio tra Forza Italia, Lega ed An sulla riforma delle legge elettorale un merito l’ha avuto, e cioè quello di ricompattare il centrodestra e far ripartire il dibattito politico. Più difficile da valutare è se tutto questo alla fine basterà per raggiungere un’intesa capace di dare vita ad una nuova legge evitando di fatto il referendum.

I problemi, infatti, sono molti e la strada è tutta in salita. Il timore maggiore che serpeggia in queste ore all’interno del centrodestra è che  imbastire un dialogo sulla legge elettorale serva solo a dare respiro al governo, allungandone la vita. Lo ha ribadito più volte il Cavaliere e proprio per questo, lui, su questo tema mantiene un atteggiamento altalenante. Da un lato offre alla maggioranza la propria disponibilità a trattare; dall’altro invece mostra il volto feroce di chi non vuole concedere nulla alla maggioranza chiedendo le elezioni. Atteggiamento che chiaramente mette in allarme la stessa Unione.

Ne sa qualcosa Massimo D’Alema che allora nei panni di presidente della Commissione Bicamerale per le riforme provò sulla sua pelle questi giochi politici. Oltre questi sospetti reciproci c’è poi la situazione all’interno dei vari schieramenti che è tutt’altro che chiara. E’ vero che la CdL, o almeno quello che ne rimane, è riuscita a trovare un punto di sintesi mettendo da parte mesi di incomprensioni. Ma ancora molto resta da fare. In effetti l’incontro lombardo è servito più per fare chiarezza tra i presenti piuttosto che creare una vera base di confronto su una proposta. In fin dei conti l’accordo nel merito è molto vago.

Tre i punti: bipolarismo, indicazione preventiva delle alleanze e del premier e soglia di sbarramento. Tutto e il contrario di tutto perché nel concreto queste direttive possono adattarsi sia a un sistema elettorale maggioritario, sia a uno proporzionale. Ciò significa che sulla scelta del sistema nella CdL si è ancora in fase di studio. Ed è comprensibile visto che le tre forze politiche del centrodestra hanno esigenze diverse. An, ad esempio, preferisce, e non ne ha fatto mai mistero, un sistema maggioritario dove potrebbe meglio sviluppare la politica della corsa verso il centro e della nascita del partito unico. Un sistema proporzionale continuerebbe a mantenere in vita i vari partiti, impendendo fusioni ed aggregazioni. Per An un rischio non da poco considerando la tenaglia Forza Italia-La Destra di Storace che potrebbe chiudersi intorno a lei. Discorso diverso per la Lega che da un sistema proporzionale ha tutto da guadagnare. Le sue battaglie identitarie, la sua politica fortemente “padana” si adattano a meraviglia a questo modello elettorale, ottenendo il massimo in termini di voti. Infine Forza Italia. Il partito del Cavaliere è stato per lungo tempo un sostenitore del maggioritario ma da un po’ di tempo sembra aver cambiato gusti.

L’ultima campagna elettorale e la grande crescita di consensi registrata negli ultimi mesi hanno spinto gli ambienti forzisti a rivedere alcune posizioni, orientandosi verso la sponda proporzionale. Da qui si intuisce il perché di un accordo su grandi linee a Gemonio. Comunque sia, un’intesa è stata raggiunta ed è servita a dare l’immagine di un centrodestra che riparte, lanciando una sfida all’Unione e all’Udc. Proprio questi ultimi sono quelli che forse escono peggio dall’accordo di Gemonio. Il fatto che non siano stati  partecipi, per loro ha rappresentato indubbiamente uno smacco. Il messaggio mandato dai tre della CdL è che si fa politica nel centrodestra anche senza Udc. Casini ormai da mesi è impegnato in una lunga traversata per ritornare nella CdL e anche senza ammetterlo sa bene che il suo progetto di opposizione solitaria non sta pagando. I sondaggi commissionati parlano chiaro e anche le recenti elezioni amministrative dimostrano che da solo l’Udc non può andare molto lontano. Ecco perché si è affrettato ad accettare l’accordo di Gemonio, salutandolo positivamente. In altri tempi avrebbe usato toni diversi. Ma è nell’Unione che l’intesa del centrodestra ha avuto le ripercussioni peggiori, spiazzando i leader dei vari partiti.

Lo stesso premier Prodi forse non si aspettava il rilancio della CdL sulla legge elettorale ed è corso subito ai ripari rispolverando la bozza Chiti e mandando lo stesso ministro per le riforme in missione esplorativa. Il timore del professore è che si giunga a un grande accordo tra centrodestra e centrosinistra per cambiare la legge elettorale e poi per votare subito, già in primavera, mettendolo così fuori gioco. Ipotesi non del tutto remota. In realtà a sinistra e soprattutto nei piani alti del Partito Democratico la mossa del centrodestra viene guardata con sospetto, più come la classica polpetta avvelenata che come la reale volontà di trattare. Facendo così, spiega un alto dirigente diessino, la CdL ha piazzato un bel cuneo nel Pd e nella maggioranza aumentando la lista degli argomenti di divisione. Come se non bastasse la legge Biagi, la sicurezza ora anche la legge elettorale ripetono ai piani alti del Botteghino. Ed infatti le parole dell’uderrino Fabris chiariscono il quadro: “Se nel Pd, al di là delle dichiarazioni dei singoli, non dovesse emergere a partire dalla prossima settimana, un’autentica disponibilità, ciò sarebbe la prova che nel Pd sono più interessati a rafforzare la prospettiva del partito unico del centro sinistra che a sostenere la maggioranza”. E la conclusione: “Di fronte agli egoismi del Pd è evidente che anche altri partiti dell’Unione, non solo l’Udeur, assumerebbero identico atteggiamento con gravi conseguenze sulle capacità di durata del governo”.

Parole dure, non nuove da parte dell’Udeur ma che illuminano un altro aspetto della vicenda e cioè Partito democratico e legge elettorale. Infatti al di fuori dei vari Fassino, D’Alema e Veltroni che hanno espresso apprezzamenti e disponibilità ad entrare nel merito del confronto con la CdL, dal centrosinistra non si è andati oltre. Un po’ poco considerando che da mesi i due poli sono in rovente polemica. Il riferimento di Fabris non è fuori luogo e coglie la situazione: per ora dalle parti del Pd non ci si vuole scoprire.

Dopo il 14 ottobre si vedrà perché allora sarà chiaro come è nato questo partito, quali saranno le componenti deboli e quelle forti. In pratica Veltroni potrà anche vincere la segreteria nazionale ma poi avrà agibilità politica all’interno del partito? Questo spiega anche perché in questo momento la grande partita nel Pd sia sui coordinamenti regionali e sulle nomine locali. Ed anche perché chi abbia preso una posizione netta e chiara siano solo i seguaci del ministro Parisi, che fuori dalla battaglia per la segreteria cerca di aumentare il suo peso nel partito. Per questo almeno fino ad ottobre dalla maggioranza non si andrà oltre gli attestati di disponibilità verso la CdL. Poi si vedrà. Sempre che per quel tempo i famosi cespugli non abbiamo già preso a muoversi autonomamente.

Tra Udeur e sinistra radicale che il 20 ottobre scenderà in piazza contro il welfare la tenuta della maggioranza potrebbe essere messa a dura prova. Ed allora l’ipotesi berlusconiana di votare in primavera, forse, non sarebbe più solo un auspicio.