Riforma istituzionale, una strada in discesa?
05 Ottobre 2015
di Andrea Spiri
«Non mi preoccupo di Verdini e compagnia. Mi preoccupo del Pd e delle politiche di governo. Sembra che valori, ideali e programmi di centrosinistra si sviliscano in trasformismi, giochi di potere e canzoncine. Sembra, e non da oggi, che ci sia una circolazione extracorporea rispetto al Pd e alla maggioranza di governo».
Pierluigi Bersani non le manda certo a dire e inaugura in questo modo la settimana decisiva, quella che potrebbe portare all’approvazione in Senato del disegno di legge di modifica costituzionale. Licenziati gli articoli 1 e 2, attraverso una riformulazione del testo approvato a suo tempo dalla Camera, oggi si riprende con le votazioni, ma non è detto che il cammino sia completamente in discesa.
Sul tappeto restano questioni complesse da risolvere e la succitata esternazione dell’ex segretario del Nazareno lascia intendere che la battaglia della sinistra dem sia tutt’altro che conclusa. L’articolo 21 che disciplina i criteri di elezione del presidente della Repubblica, l’articolo 31 che rimanda alle competenze tra Stato e Regioni, o ancora la norma transitoria (art. 39), tuttora da definire, riguardo ai meccanismi di composizione del "primo" Senato in attesa che la riforma vada a regime: sono tutti scogli sui quali la nave governativa potrebbe facilmente incagliarsi.
Senza considerare che le secche dell’immobilismo potrebbero materializzarsi sul vero cuore del provvedimento che, contrariamente a quanto riferisce la vulgata, non va identificato nell’articolo 2 bensì nell’articolo 10 sul procedimento legislativo, che chiama in causa le competenze delle due Camere nell’iter di formazione delle leggi. Un articolo, è sempre bene ricordarlo, su cui pesano quattro proposte di modifica presentate da Gotor e compagni e lo spettro del "gambero" di un Calderoli per ora fermo ai 370.000 emendamenti rovesciati sul medesimo punto.
E dunque, a quale partita assisteremo nei prossimi giorni ? Verrà replicato e reggerà lo schema di accordo interno al Pd e alla maggioranza di governo, che ha consentito fin qui di soddisfare le attese e di rispettare i tempi della tabella di marcia "suggerita" da palazzo Chigi ? Oppure prevarrà la tentazione di "allungare il brodo", nel timore che accelerare oltremodo il passo equivalga a consegnare nelle mani di Matteo Renzi l’arma finale, quella da utilizzare per lo scioglimento delle Camere nell’autunno 2016?
In attesa che le dinamiche parlamentari o partitiche forniscano risposta a questi interrogativi, restano i due dati politici finora emersi. Nei giorni scorsi, l’approvazione dell’articolo 2 del disegno di legge Boschi ha fatto registrare 160 voti favorevoli, uno in meno rispetto alla maggioranza assoluta che, in caso di deliberazione finale avrebbe significato l’affossamento del provvedimento.
Il secondo elemento, strettamente collegato al primo, riguarda i rapporti con la componente verdiniana, ben sintetizzati dalla contrapposizione domenicale andata in onda sul piccolo schermo tra il presidente del Consiglio e l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi. Senza di noi al Senato non ci sono i numeri, esclama Verdini intonando le note di "La lontananza"; chi appoggia le riforme sta aiutando l’Italia, gli fa eco il premier. Segnali che suggeriscono cautela: la quiete dopo la tempesta potrebbe ancora non essere all’orizzonte.